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PARZIALE

C’è quella fiamma,

che mi lascia impazzire,

inveire su schemi già redatti,

ideati per schernire il pubblico,

la mia eredità scomposta,

questa voglia di fragola,

rimasta esacerbata dai momenti,

da quelle velleità interiori.

La follia,

si astiene al mio incedere,

eccedere,

in vino retrattile,

quasi il verso ad una iena di quartiere.

Lentamente,

si scende su sguardi sconosciuti.

Allora tutto resta invenduto,

perché il corpo,

ha smesso di essere pioggia interrotta.

CALDO FREDDO

Molte cose cambiano,

per violare intensamente l’istinto,

quel frangente metabolico,

che mi rende uomo,

malgrado le impeccabili accortezze,

la svogliatezza incline al momento,

le risorse che menziono,

solo per risultare ondivago,

astratto,

imbevuto su un altro tessuto sociale.

Nulla è resistente a certi attacchi,

ma eccepisco estraneità,

letteratura già ravveduta,

esterna alle carnali intuizioni del cuore.

Non è qui il momento,

o il luogo adatto,

per tornare su passi già consumati,

come certe scarpe,

lasciate addietro all’infanzia,

forse a quella volontà di vero nutrimento.

FORMALI E FORMATI

Quando eravamo Requiem,

quando non avevamo allegria,

un emisfero definito,

un colore meno avvezzo al tempo,

al pallore conosciuto.

Quando eravamo disagio,

quando potevamo spezzare una lama,

trafiggerci senza ragione,

sanguinare apertamente,

in virtù di un destino atroce.

Quando eravamo uomini,

sdruccioli al caso,

empatici al chiasso,

vivaci al suono,

bizzarri nel riconoscerci …

Quando eravamo Requiem.

INERTE

Mi piacerebbe tornare alla carta,

valorizzare le mie storie,

il racconto interrotto,

quelle carezze indelicate,

il sensazionalismo sterile delle mie capacità,

quel riverbero estraneo al mondo,

una piccola onda d’urto,

capace ancora di emozionarmi,

rovesciarmi,

trasportarmi altrove ,,,

perché qui e adesso,

in questo lasso di tempo,

in questo lembo di terra,

ammetto di avere sbagliato ogni connessione,

confessione.

CICATRICI E CASTRATI

Vedo la gente ammattire,

disseppellire i morti,

vagare in circostanza,

assai poco chiare,

lussureggiando in tempi remoti,

senza concepirne l’opposizione,

la portata fuori onda,

il nesso scientifico.

Seguo l’urto delle conseguenze,

e dissento apertamente,

per puro spirito effimero,

attratto da parole ancora in equilibrio,

sospese tra di esse,

azzoppate da uno strano lessico,

eppure riconoscibili,

ancora amabili,

fuorvianti quanto basta,

per abbordare uno sconosciuto,

un ragazzo di strada,

semmai v’è ne fosse ancora,

laggiù,

quaggiù,

in questo inferno che danza,

senza una promessa di puro egoismo.
Solo latrati in allentamento.

FARNETICAZIONI

Mi arrendo quasi per necessità,

avverto in simbiosi,

l’alternarsi della crisi,

nevralgia sempre accentuata,

un cuore senza indole incolore.

Arretro sui miei punti fermi,

faccio castelli,

idealizzo momenti mai vissuti …

Il tutto,

senza provocare un lasso di tempo,

un oncia plausibile di presente.

Io cammino,

senza avvertire la gente a fianco a me,

devo solo avanzare in questa inadeguatezza,

sempre distratto dai tremori,

inviso al ludibrio tangibile,

rispetto o catrame che sia.

Una perspicace voglia latente,

un brogliaccio in ossequio.

CAVALLI STANCHI

Traggo ancora piacere dai fumetti,

dalle visioni di certe nuvole parlanti.

Attratto emotivamente,

soggiogo il peso reale,

la funzione di messa in corpo,

il sacrificio venale,

lo spazio sempre più viscerale,

fino a discernerne il gusto,

l’apoteosi,

tutto d’un fiato …

su avventure o mere improvvisazioni.

Ancora una bolla,

una ultima novella,

intrisa di gotica nube.

AGHI

Ho toccato la vita,

l’ho fatta anche mia,

qualche volta.

Poi mi sono disabituato,

a risentirmi,

a non avere più un obbiettivo.

Lentamente,

il distacco è stato glaciale,

esterrefatto ad ogni disfunzione,

tattile fuga al rimorso,

dadasimo puro,

estroverso cangiamento di repulsione.

Ho assennato il corpo,

a strane accezioni di violenza,

ho preferito scorrere tutto d’un fiato,

l’avanzare del secolo,

proprio per maledirne  le scorciatoie,

l’insormontabile vetta del non ritorno.

CARNE E BRACE

La pelle cambia,

brucia,

si estromette.

Non accetta regole,

pur valorizzandole l’istante,

le carezze,

questa sorta di bussola impazzita,

su essenze di giovanile attesa ….

Il corpo ne secerna la luce,

adotta sistemi meno brutali.

Ma ricerco qualcosa di rozzo,

di meramente glande,

per soddisfare il mio scarno palato.

Poco a poco,

di volta in volta,

mi staglierò tra le tue gambe,

senza neppure concedermi respiro.

Saprò rivendicare l’attesa,

valutarne la distanza,

lo spruzzo generoso,

il vigore della tua intimità,

possente dominio sulle mie ossa,

carne su carne,

volgare abbozzo primitivo.

SCAMPI DI LUCE

Non biasimo i miei errori,

cerco di portarli sempre avanti,

mai in fuga da se stessi,

posseduti da gambe e sensazioni,

capaci di alitare pulsioni,

vecchie avventure,

in fondo mai vissute realmente.

Eppure comprendo,

lo spazio di erotismo,

il simbolico aculeo,

intaglio di un riverbero poco presente.

La vita avrà nuovi possedimenti.

Io stesso,

potrò mutare connotati,

stabilire certamente,

andamenti meno assennati,

per divagare pornograficamente.

Con la mente ipotizzo,

scalpito,

accentuo un fermento tra le mutande …

L’agitazione è palese.

Forse sarà la prima volta.

Forse tornerò a desiderare.

FORMATI ASTRATTI

Non riesco a toccarmi,

al di là di questo mal di testa,

avverto il post vomito,

come fine del mondo,

chiaro intento di assoluta abnegazione.

La mia posizione,

restringe il campo,

obbligandomi ad una resa incondizionata.

Il buono,

sempre proferire altrove.

Io esprimo concetti astrusi,

dettati dal momento,

figli di paranoie annidate,

dense aquile di promontorio,

sparviero dal cuore ottenebrato ..

La maledizione,

restringe il suo campo,

in questo tabulato che pulsa,

tra le vene aspre del mio cervello.

Ancora qualche onda di calore,

poi freddo,

tenue rancore di luce …

L’ULTIMA VOLTA

Sarà l’ennesima eclissi di cuore,

uno scoramento parziale,

impercettibile motore di ali,

battiti alacremente andati,

pulsioni agevolate dal sentire comune.

Il diniego,

del resto,

trae macchinazioni avverse,

disfunzioni tattiche,

parcelle esattoriali da denigrare.

Sarà un particolare veemente,

a fingere sensazioni sacre.

Una ultima pagina,

attente prospettiva.

Qui e ora.

TRADIMENTO

Sulla base di un profilo sperduto,

ho comprato interessi spoilerati,

ho dato battaglia alle voci interiori,

ho coperto il mio corpo di menzogne,

attirando la malavoglia,

l’afflizione,

forse l’abluzione estemporanea.

Fingendo del carattere,

ho attraversato merda e fede,

senza colpire mortalmente,

gli accoliti muniti di talismani.

Il vigore,

ha talvolta rafforzato le mie membra,

svolgendo ruoli e tempi inaspettati,

su avventure sfarzose,

su altari venerati per secoli …

Il calice rovesciato,

ha smesso di insozzare la folla.

Ora sono Re.

Ora sono al comando.

Odo l’orecchio,

ma accentuo la vibrante regola del Mai.

 

CORRUTTELA INDIANA

Quando tutto era spento,

come i furti alla memoria,

alle regole asai impazzite,

agli amici che ho lasciato per strada,

forse impazziti,

ora imbarbariti,

sudici di sangue,

mai esanimi di vendetta …

Quando tutto era spento,

a ridosso di un sacrilegio,

al pietoso atto di condono,

alle rivolte dedotte dal cuore,

abilmente scaltro nel deturpare affetti,

Dio incorrotto tra corrotti.

LUNGHEZZA INTERMEDIA

C’è ancora emozione,

in certe parole lontane dal cuore,

dalla essenza originale,

dal candore scaturito ..

Sapori tutti sul nascere,

emotivamente scevri,

figli di un potere innato,

una immacolata arsura di beltà.

Cade meramente a pioggia,

rintuzza la casistica irrazionale,

rimuove certe patine oblique …

e il cuore,

oh si, il cuore …

intercede per misure ampie.

TRAINO A RIMORSO

Novembre,

porta con sé,

i primi sensori freddi,

quel piacevole tepore domestico,

nell’avvolgersi immancabilmente in casa,

a sentenziare la stagione,

quei brividi di languore,

quel fremito recalcitrante di timore.

Novembre,

arranca sulle diatribe sociali,

corruttele alla mano,

facile modernariato da tappezzeria.

Novembre,

trafigge foglie e solleva corpi.

La morte,

non è mai stabile,

fine a se stessa,

amante incurabile,

figlia di stragi ed errori.

Il fine ultimo,

l’arringa sottile di castigatore.

Fermarsi non è una perdita di tempo,

se quell’oncia e andata già smarrita.

ORGANICO

C’è molto assenzio,

in questa ora buona ora di silenzio,

un lascito testamentario,

che mi porto sempre addosso,

una seconda pelle necessaria,

per aggredire il lugubre presentimento,

l’abbreviazione postuma di ogni regola.

Mi aggiorno saltuariamente,

la lettura dei giornali,

assai deleteria,

langua su sapori altamente discutibili.

L’informazione,

soggioga quella linea di potere,

a sua volta ammaestrata,

da appartenenze e fede politica.

La giostra,

riserba promesse qualunquiste.

La summa perfetta,

lo scandalo mai andato in circolazione.

Assenzio organico.

QUESTA ESISTENZA/ASTINENZA

Se imparassi le mie erezioni,

da tempo dovrei essere un porco,

soggetto ad ogni sorta di lussuria,

travolto e sudicio di piacere.

Ma ciò che in me converte,

sprigiona solo un estensione del muro,

questa visione proibita delle cose,

un fascino perenne di brama,

tra adolescenza e fanciullezza smarrita.

Sconfitto ad ogni ritorno,

il pianeta terra

galvanizza le opinioni,

rimarca le posizioni,

studia i permessi di entrata o uscita,

lasciandomi a bocca uscita.

Sempre.

SIMBOLOGIA SPARSA

Vivo tra i miei trofei,

simbolo imperfetti,

che la dicono lunga,

sul mio modo di fare,

sul disagio assistito,

su questa valanga di etero genesi,

evoluzione percossa da molti ostacoli,

eppure riportati all’origine catastale.

Una svolta sincera,

un nitido specchio simbolico,

ove invecchiare o arrancare,

assiste la fragilità dei miei giorni.

 

IRREGOLARI PER MESTIERE

Eravamo giovani peccatori,

vestiti di candore,

pulsanti nelle mutande,

rigogliosi nella carne,

mai acerbi al gonfiore.

Eravamo il frutto immaturo del secolo,

uno scorcio troppo serio di vetusta elemosina,

polvere ai posteri esteriori.

Eppure,

tutto regolava un falso pudore,

una mancata intenzione di calore.

Eravamo ingenui,

fiori raccolti in un prato,

estese mani di un adolescenza tradita,

sentita a morsi,

stretta ai fianchi degli anziani del quartiere.

PARVENZE DI CIELO

La vita non mi avrebbe lasciato scelta.

Stretto a questa morsa,

sono uscito,

ho respirato sui miei passi,

macinato chilometri,

osservato circostanze e marciapiedi,

arredo urbano e palazzi.

Poi ho scorto il cielo,

in fondo una Chiesa,

altre strade,

vecchi percorsi scoscesi.

Quando mi sono fermato,

ero giunto all’apice della paralisi,

talmente rapito dai miei gesti,

da tutti quei pensieri di catarsi,

una interiore battaglia scevra,

una rinuncia,

una rivalsa mai seguita dalla battaglia.

Ho dismesso le armi,

ho preferito fare ombra,

accasarmi,

in asimmetrica solitudine.

MIA SANTITA’

Avverto questa santità,

pur non tollerandola,

mi rivesto di essa,

nella luce perfetta,

nei tentativi di sporcarla,

ma invano ….

E solo frutto della mia mente.

Non è mai esistito peccato,

non ho mai scelto la facilità delle cose,

non mi sono lasciato andare,

né lacerato i vestiti,

per una buona e profonda penetrazione …

Niente di tutto questo,

io invecchio nella primordiale origine della santità.

TUTTO INTORNO

Sembra tutto come ieri,

io che esco,

attonito alle circostanze,

privo di emozioni,

scaldato da un sole autunnale,

severamente monitorato dagli altri,

adocchiato dai passanti,

da qualche ragazzo,

di cui ne interpreto il labiale.

Lo strapiombo e asserito,

chiaramente tangibile,

vibra sulla mia pelle come un idioma,

ossessivo,

martellante.

Sento l’etichetta,

il disturbo,

l’essere di peso a qualunque funzione,

figurarsi ruolo.

Determino timore,

genero un parto di lacrime,

ma non lo lascio vedere.

Me ne torno fieramente a casa,

nel mio involucro,

questo bozzolo di assoluta benedizione,

ove maledire le mie psicanalisi.

TENTENNAMENTI

Il compromesso delle scelte,

il movente solitario,

la frazione che sembra obbligare tutto ,,,

il ripasso inattuale di molte regole,

il vigore tardivo al rimorso …

Questa incoscienza di sentimenti,

il freddo,

la irremovibile stagione degli addii,

delle promesse lasciate al fato …

Una inevitabile sequela di opportunismi,

mancate velleità di candore,

puro livore senza avorio.

MOVIMENTO FOSSILE

Eccedere quanto basta,

in questa costruzione,

basata solo sugli errori,

su elementi scarni di possesso,

oggetti rimasti preda degli eventi,

del caos,

di una mera ossessione del tutto inutile.

Basta un alito di vento,

un ampio raggiro di disprezzo,

un sano egoismo di dispiacere,

per tornare ad essere residui fossili,

pezzi contorti in avaria,

smacco insufficiente alla realtà,

al sottile gioco avveniristico.

Mi attende fatica,

un giorno da cui fuggire,

cacciare ancora questo contrario riso.

Lentamente,

scendo a patti con me stesso,

violo i vincoli della solitudine,

arresto il travaglio interiore.

Ti cerco.

LA MIA PUNTA DI SHARE

Giornalisti e detttratori,

costruiscono la propria fortuna,

sull’elemento di maggior disturbo,

tipicamente una salsa assai trita,

dal retrogusto molecolare,

di vigore e interesse apparente.

Non ci si rende conto,

del pattume idiota al seguito,

dettami coloriti,

che rigettano in cattiva luce,

il convenuto pagato.

Il resto e solo malasorte,

disastro assoluto,

piaga sociale per ogni tipo di reietto,

uomo o bestia che sia,

l’impari lotta,

verso la quale tutti noi siamo destinati.

RIFLESSI ERETTI

La mia disattenzione,

risulta assai postuma,

alle rivolte mai consumate,

a tutte quelle cose,

che mi sono ripromesso di dire o fare,

ma poi,

egoisticamente sarcastico,

ho preferito lasciar cadere,

glissando apertamente,

su modi apparentemente caduchi.

La mia sedentarietà,

vanta un sodalizio stoico,

una rivalsa di stupore emotivo:

mai una congiura adatta,

o un rigore mal sortito di sospetto.

Mi adagio con circospezione,

sullo spazio senza eccedere,

convintamente schierato senza alcuna parte.

Ho già speso cause e ammassi di parole,

ora è tempo di raccogliere,

di farmi un giro sopra i cazzi miei.

RIVOLTA

Era davvero questo il ricordo,

il rigurgito di ogni parola,

il sano rispetto per una vita.

Solo poca cosa,

al contrario di moltissime facce,

estese sulla convinzione di un albero,

a ridosso del respiro,

chiaramente visibili,

ma facilmente abbordabili.

Io ero tra i rami secchi,

scelta pessima,

eppure improba e discutibile.

La visione,

del resto,

appetibile e irripetibile,

parlava di morire tra la gente,

senza ravvedimento personale.

Un poco alla volta,

estraneo tra gli estranei,

un manipolo di guerrieri urbani,

sulla soglia del protezionismo.

IDOLATRIA

Ancora a ritroso,

in questa travagliata strada,

di trasformazione in trasformazione,

quasi stanco,

di essere ciò per cui vengo additato.

Anche perché ho bisogno di cambiare,

ravvedere il mio trucco,

scegliere il costume adatto,

per azzardi concreti,

migliorie da apporre in avanscoperta.

La sensazione sembra nuova,

ma non è abbastanza stucchevole,

durevole.

Sono gli occhi a filtrare la luce,

ad averne la causa,

additarne il mortorio.

Mi basta cangiare soggetto,

ribellarmi al doppio petto,

attivarmi in spendibilità.

Il suono rivendica la matrice.

ATTANAGLIARSI

Non mi resta che ammainare quel che resta,

in questa brezza autunnale,

far di cause una sol ragione,

come vento di bonaccia,

assalirne i connotati,

mostrarne un viso meno raggiante,

avventarmi senza candore.

Impazza il nesso alla conseguenza,

si avvale di spudorata veemenza,

fra i rattoppi meramente ignoti.

La vita causa sconfitte,

ardori,

motori …

La vita genera sermoni,

colori,

se la scelta ricade sul cuore.

PRATICA

C’è molta confusione di voci,

quasi del tutto assordante,

concludere un buon affare,

in mezzo a gabbiani di razza.

La vita,

interseca ragioni autunnali,

si fa presto scuro lì fuori,

e l’emotività,

accresce un senso comune di tristezza.

Ma solo in apparenza,

solo per puro caso,

non riesco a scegliere un sentimento,

una strategia d’amore.

Resto secondario alle voglie,

mi basta un click,

per spegnere certe erezioni.

Poi,

ci si sporca relativamente,

con se stessi.

LA TRAGEDIA

Quando ci siamo perduti,

il frastuono umano era intollerante.

Il fascino delle parole,

poi,

aveva tradito ogni equivoco.

Senza tempo,

scampati al pericolo,

cercavamo rifugio nelle braccia di chicchessia,

sordido compromesso al ribasso,

un prezzo al compiacimento,

frutto di una bellezza garantita.

Bastava saperci fare,

pungere su vari punti,

far centro sull’obbiettivo,

e accarezzare ancora quella ebbrezza ,,,

fu un tentativo scarno,

ma assai gotico,

goffo,

ma pur sempre ironico.

Le nostre vite colme di biasimo,

sapevano attrezzarsi all’erotismo,

scadere sul pornografico,

e violare ogni volo o pendio.

 

FILTRI

Lo sento davvero il disprezzo,

questa ridicola movenza di passi,

un disorientamento a troppa emotività.

Giaccio immotivato,

passo giorno senza domande, risposte,

ma riposto in un sarcofago,

impigrito dagli eventi,

dalla luce,

dagli echi sparsi del condominio.

La funzione vitale di ogni azione,

mi appare distante,

quasi un cicaleccio di troppo …

un chiassoso equivoco della mente.

Una parte di me vorrebbe evadere,

ma resisto all’inerzia,

al vagabondaggio interiore,

sparendo letteralmente dai radar.

BARDI

E vero,

vivevamo senza regole,

ormai distanti dai nostri simili,

un caos a parte,

una sorta di assemblaggio pietoso,

talvolta meticoloso.

Sterili del tutto,

fecondavamo solo i nostri istinti,

destinati all’estinzione.

Uomo più uomo,

alcun frutto di vita,

ma una eterna ingratitudine,

voglia matta di eccedere sul vizio,

impigriti su se stessi.

La mattanza,

si svolse senza capovolgimenti.

Ci ridestammo instabili,

motivati a cambiare,

regredendo certe ovvietà.

Ma nessuna guarigione,

o sensazionalistico muro di gioia.

INCARNATO

Solo i morti non cambiano idea,

mentre osservano la nostra diatriba,

la corruzione,

lo stile imperfetto,

i sentimenti che ci trasciniamo ,,,

zavorra meticolosa di intenti,

falso richiamo all’umanesimo,

quasi un reclamo di parallelismo,

spinti tra desiderio e sozza pornografia.

Ma di tutta questa narrazione,

i dettagli sapranno spartire bene,

motivarne lo scoglio,

soffermare la burrasca.

Intatta la natura e il comportamento,

spavento per poco,

davvero così poco,

immolarsi al fuoco negro di una danza …

Colpirsi per imitarsi,

meditare senza sollazzi.

NEON

Appare evidente,

ricusare l’anima,

avere gioco facile,

quando la perdita di ogni dottrina,

diventa fulcro di interesse morale.

D’improvviso,

lo sguardo altrui,

poggia un netto distacco,

un compromesso,

un vero sacrificio di potere.

Resti smarcato,

ai paradossi del momento,

a quegli intenti quasi postumi.

Non compri neppure il nuovo iPhone,

un dettaglio di noia,

forse ossimoro del desiderio.

Smarrito il cambiamento,

lanci occhiate al presente,

al meditabondo corso delle cose,

di evoluzione in rivoluzione,

lo spargimento di letame,

si rammarica di non averti ferito,

tolto dal rinnovamento.

Lo spirito,

allena la fatica,

estingue una fede di copertura,

ristora un pò gli umori,

ma langue prettamente al cielo.