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LAGNANZE DI CINQUE ANNI

Sono cinque anni,

che annuncio la mia morte,

in questo spazio virtuale,

fra tentazioni e redenzione,

frustrazioni e fustigazioni.

Sono cinque anni,

che cresco,

smarrendo ogni traccia,

ritrovandomi marcatamente cambiato,

da parole che in fondo non sono mai mutate.

Il rapporto,

intensifica un tempo astratto,

alla guida di questo percorso,

un viaggio illimitato fatto di sconfitte e traguardi,

ingorghi,

ma tanti scontri!

Sono cinque anni,

che sento l’esigenza,

saltuariamente di aggiornarmi online,

riversando quel che mi passa prima per testa,

tra realtà e passione,

ho messo in scena la mia finzione,

il teatro deserto della mia vita,

gli spettacoli mai applauditi,

retribuiti,

la speranza,

ma anche le mortificazioni.

Senza di esse,

non sarei l’inetto irreprensibile,

che si prende cura di se stesso,

ammansito da tendenze seduttive,

giostrato ad un gioco sempre più clandestino,

mentre scaldo i muscoli,

per affacciarmi dalla solita prigione,

a rigettar stagioni,

a godere l’incedere di ogni istante.

Sono cinque anni,

che rubo attimi,

alla enormità di ore,

che non mi lasciano respirare,

quello strazio fatto di apatia e repressione,

una lenta,

scarsa attitudine concessami come eredità.

Ma io non ho figli,

nè chimiche o polveri magiche appresso.

Gestisco la fiaba orrenda delle mie nenie,

come culla procace per i secoli che torneranno.

Cinque anni,

un eternità spesso aberrante,

ma una lagna continua …

GLI OPPORTUNISTI

Mi sono accorto,

di indossare occasionalmente le cose,

tutte quelle sterili funzioni,

che rendono impeccabili,

le diatribe umane,

mentre il restauro della vera folla,

serve un Dio fatto di legno.

Mi sono preventivamente rifornito,

di un maggior numero di scossoni,

per sembrare attivamente furbo,

pur imparando a dormire di più,

ne ho coltivato la morìa intellettuale,

per ogni soggetto facilmente  deprecabile.

Si accettano giochi,

situazioni,

si scambiano putride affermazioni,

pur di sembrare interscossi,

dalla caducità delle argomentazioni,

mai segmentati,

da spazzi rigorosi,

solo aizzati,

per un albero di genealogia opposta.

Conversioni

APOCALISSE DI CARNE

Non disperdo gli attimi,

li lascio incorrotti,

per attraversare la scrittura,

qualunque essa sia,

la indosso come un armatura lapidare,

un sigillo da camera mortuaria,

che rende pace,

a tutte le sensazioni che descrivo,

in questo secolo che volge al termine,

io ho già visto fiammeggiare,

da qualche parte,

un apocalisse umana di intenzioni,

un cannibalismo,

teso solo a sedare gli scossoni dai morsi.

Un alba lucente,

ha saputo dedicarmi qualche riga,

mentre scrivevo, e scrivevo …

E nulla mi impediva di trarre emozioni,

piaceri,

lacrime compromesse attraverso quel ginepraio di parole.

Forse un giorno,

nessuna terra,

saprà darmi riposo,

ma so che continuerò a raccontare le mie storie,

da un capo all’altro dei mondi,

non smetterò mai di vivere,

di avere realtà parallele,

a questa maledetta stesura troppo uguale.

L’impeccabile esistenza del giornalista Giorgio Ferri, dedito al potere e al malaffare, si scontrerà con l’incontro di uno sconosciuto, che gli cambierà per sempre la vita.

 

FACCIA A FACCIA

Non ho vergogna,

ci metto la faccia,

in tutto quello che faccio.

Anche se poi mi perdo,

anche se poi mi deterioro,

anche se la funzione di troppe cose,

mi sfugge regolarmente di mano ..

Io ci avrò provato,

a seguire l’onda del momento,

per convivere coi timori,

coi troppi fantasmi,

spettri possenti che stigmatizzano,

la mia sopravvivenza.

Si: ho deciso di metterci la faccia,

proprio per rincorrere il fiume denso di egoismi,

quella velleità incorrotta di cultura,

quella fede,

mai a portata di mano,

ma rovente,

che mi assiste,

in ogni bagno di folla,

quando il suicidio diventa una prerogativa di turno.

Io che non ho più menzogne da costruire,

io che fuggo da rituali e promesse,

io che torno a rinchiudermi,

proprio per restare isolato dal catrame altrui.

Il petrolio onnisciente del saper tacere,

mi rende spesso consapevole,

di battaglie già date per false attestazioni chimiche.

Ci metto la faccia,

dentro le poche righe di questa circostanza,

per convalidarmi,

con un atteggiamento meno ibrido,

per lasciare una testimonianza,

per dire apertamente che anch’io ho creduto,

ma poi mi sono smarrito,

ricercando l’usura,

il meccanismo corroso per tutte le cose …

PREAMBOLI DI POTERE

Spesso,

combatto battaglie totalitarie,

armato di pazienza – e non so perchè,

pregiudico, azzannando pezzi di democrazia,

per un riscatto mai trovato.

Sono tratti sconosciuti,

che mi appartengono da sempre,

come gli strafalcioni,

dovuti ad una mia non regolare istruzione.

Ma non tutti nasciamo geni,

nè intendo erigermi a Tale entità.

Spesso,

sento il peso della realtà,

talmente ingombrante,

da scomodare enti preposti,

ma invano ..

Verso una Giustizia di cui non si conosce mai il volto.

Siamo portatori sani di ideologie,

testimoni di un secolo virtuale,

ormai latente,

in ogni angolo del mondo.

Ma questa Unione, alla fin fine,

non comporta mai un assoluta compattazione.

La disgregazione sovrana,

regna padrona su tutto.

Io stesso,

sono il simbolismo oscuro,

di azioni troppo sgarbate,

che urtano suscettbilità altrui.

Piccoli o grandi che siano,

il fastidio genera altro fastidio,

e non è mai facile,

far combaciare decisioni,

pendere dalle labbra altrui,

srotolare la matassa,

obiettare un qualcosa di sacro.

No .. spesso l’isolamento,

è una castrazione meditata,

per accettare un tempo che non assicura alcuna vita.

MODIFICAMI

Modifica Tu,

il mio modo di vivere,

gli azzardi,

la sonnolenza,

le letture spasmodice del FattoQuotidiano,

quei lunghi caffè al Bar,

scandagliando a fondo ogni parola,

come un verbale esteso della mia vita.

Modifica Tu,

la disoccupazione,

questo reiterare selvaggio che impongo,

gli scotti sociali che somatizzo,

il mio carattere schivo e da orso.

Modifica Tu,

le preghiere che lancio,

durante le ore del giorno e della notte,

assorto nella bolgia urbana della comunicazione,

ove spesso,

avere a che fare coi simili,

e come spianare una salita ripida di coltelli.

Modifica Tu,

gli intenti che percuoto,

giorno dopo giorno,

dall’urgenza di sentirmi parte di qualcosa ..

Modifica Tu,

il volto che ho imparato a indossare,

proprio per ironizzare schiettamente,

sulle lingue argute,

sulle vedute armate,

in cui descrivo denunce per ogni cosa ..

Modifica Tu,

quello che ormai ha già deciso per me.

Perchè ho smesso di valutare l’amore,

perchè ho scelto di varcare l’oncia del silenzio,

perchè non è più il mio tempo,

perchè mi sono spesso involontariamente,

pur di non reprimere,

lo stordimento allusivo di una battaglia che ho già perduto.

IL MIO SABBA

Portami con te,

servo e condottiero di abnegazione,

furente e controluce,

alla volta del magma,

dove poter bruciare in fretta,

la destinata sapienza mai raggiunta,

l’affanno per la perdizione,

l’oblio generoso delle necessità.

Portami con te,

a rivedere il cuore,

a spiare i tentativi della tenerezza,

a irrigidire i muscoli,

a trarre tensioni più o meno virali.

Se una bozza,

mai conclusa di questo cammino,

avrà un sol anticipo di stagione,

io mi sarò speso invano,

per un pezzo di terra emaciata.

Ma portami con te,

nei giorni perduti o falliti,

appesi alla volta delle viscere.

Lasciami tastare con mano,

ogni farlocco compromesso,

solo per divampare in fretta,

generosamente sommesso,

dal fuoco abrogativo delle tue promesse.

Portami a sciogliere i ghiacciai,

le innevate incolte di quegli occhi.

Degnami di uno sguardo,

prima che la danza,

attinga un rituale voodoo.

Costringimi alla consapevolezza,

alla scelta,

perchè tornare indietro,

e solo un percorso infernale,

una ritrosia bramosa di squame,

che raschia a fondo,

le viscere del corpo.

Ribolle sangue,

rigetta le cure,

ne attenziona il lavacro suicidio.

Vieni con me,

a reprimere questo mausoleo,

avvantaggiati dal peccato,

vivremo in fretta,

per morire dannati idealmente.

ULTIMI BOTTI

C’è mansuetidine,

ombre,

latitudini mai coinvolte.

C’è frescura,

in quelle sere amabili,

anche se il cuore giace in soffita.

C’è vita,

parallelismo,

caute e frizzanti nervature mai potate.

C’è mistero,

odore di sesso in siffatta,

logiche attenuate dal vivace scambio di fiorai.

C’è una generosa bolla di sangue,

promettente giuria morente,

apostolato in armi,

per guerre tolleranti di abbracci.

C’è terra,

bagnata dal vuoto di ogni passo che ho dimenticato.

C’è l’Io,

conscio e rigettante,

per ogni orgia malriposta.

LIBRARSI LADDOVE MUOIONO LE PAROLE

Sento il rumore della gente,

ma non il colore.

Avverto il disprezzo degli individui,

ma non il cuore.

Seguo gli sguardi sommati a certe parole,

ma non le soluzioni.

Si narra,

che da qualche parte,

stanno aspettando solo te,

per dar vita alla festa,

alla premessa stoica della vita,

alla fragilità che non ti ha mai giovato.

Sento gli istinti sessuali ben pressati,

ma non li condivido.

Sento il bisogno di espandermi,

ma chiudo bene a chiave la porta.

Sento un avvincente finale per ogni storia,

ma ne ricapitolo solo il dolore aberrante.

Si dice,

di certi amori,

che prima o poi ritornano,

sperduti da chissà dove,

a riecheggiare in te,

nella tua pelle già saccheggiata.

A volte,

solo a volte,

però,

si smette di perdonare.

E in quel momento capisci,

il bisogno essenziale della solitudine,

da non volerla più barattare,

con nessun sbalzo d’umore.

L’affetto,

se muore,

nutre perseveranza dai ricordi.

E se sopravvivrò,

nell’abisso della tua mente,

allora certamente,

la mia anima sarà libera,

dai divieti carnali e terreni.

I SEQUESTRI DEL CUORE

Quando conteranno i fatti,

smetterò di usare i sogni,

per ogni valvola in disuso.

Quando farò fatica a sorridere,

avrò certamente sbiadito il talco,

per mostrare le mie rughe,

il volto maschile,

la maturità arruginita,

malgrado l’anima,

indisposta e temporanea,

sia rimasta ancorata a te,

precisamente recidiva ai pensieri,

ma mai sincera,

senza un palpito trepidante.

Quando  sfiorerò l’ultimo cristallo,

un altra fase della mia vita,

volgerà al termine,

senza egoismi predisposti,

ma solo un usura estesa,

allo strato già sepolto del segreto.

Se qui potessi,

in qualche modo,

occorrere, o soccorrere un fremito,

avrei già scelto di estinguermi,

varcare gli specchi vanesi,

per fare a pezzi la tua immagine intatta.

I VERSETTI

Le cose che il tempo ruba,

sono un esperienza già vissuta,

un non ritorno,

verso un origine molesta,

un ragguardevole scorcio di coscienza,

in quel limbo orbitante di maldicenza.

Si dice di non conoscere,

si crede di sperare,

di tollerarsi per quieto vivere.

Ma ogni frazione del proprio cielo,

non trova occhi degni e paragonabili al silenzio.

Troppe vetture,

hanno steso letteralmente parole,

asfaltato la finzione che coniuga le figure,

libri abbondanti e rilegati,

l’ombra irrazionale di ogni passo.

E sarà ancora notte,

quando la scrittura capitolerà su di me,

senza alcun rammarico spazientito.

MORTE DI UNO SCRITTORE

Deglutire cenere,

è un morbo avvezzo,

una sommaria entità screanzata,

un viso sconcio,

su cui soffiare cumuli di sperma,

appendici frattanto sporgenti,

sparsi in solitudine,

nel caldo criminale di Agosto.

Si annaspa un obbiettivo,

si pulsa repentini,

ad un giocattolo mai posseduto.

La macchina seduce,

in breve tempo,

un corpo che ha smesso di mantenere le sue coreografie.

Sto parlando a te,

sto parlando a me,

sto cercando di fluttuare sullo schermo,

per ridicolizzare le tue idee,

il potere che credi di avere,

mentre scivoli sonnolento su quanto postato.

Non avverti miseria?

E qui,

s’agita in me,

e per ripicca,

acconsente a dignità mai sfiorate.

Per questo,

morire per un racconto,

e la sola concessione che amerò per sempre.

ERRARE NEL BLOG

Le mie storie,

nel bene e nel male,

sono incise nei preamboli di questo blog,

un diaro sommario e infernale,

un testamento pesante, (spossante)

a cui non sono riuscito a dare un volto,

un eredità,

qualcuno che un giorno possa occuparsene,

Verrà il momento,

di abbandonare la festa,

il sole,

la pioggia,

le temperature e gli oggetti,

per abbracciare per sempre,

un al di là di cui non si conosce lo spazio,

il ricordo,

la mano tesa …

Questo blog,

bonariamente,

ha tentato di rimorchiare il mio vissuto,

lo stress quotidiano della normalità,

il dolore, che indosso come uno spettro ambizioso,

il costoso phard sceso a patti con demoni impazienti.

La tastiera incide,

il cuore morde le parole.

Poi una facile occhiata per correggere,

lasciando quà e là ,

errori di cui non me ne frega un cazzo!

IL FACCENDIERE

Dar fuoco ai pensieri,

in questa scorretta sintassi,

e controproducente,

infame,

delittuoso.

Eppure comprimo ogni immagine,

recludo il porno,

da tempo smetto di essere oggetto e soggetto.

I tentacoli,

cessano di parafrasare il normale,

le fantasie,

rigettano nuovi aspetti romanzati,

copertine fin troppo piegate,

per minimizzare una storia senza una buona recensione.

La mia orda spicciola,

solleticherà ancora una volta troppe parole,

per finire in pasto ai media,

al clamore che suscita una bozza silente.

Non decido mai, per me,

alle parole che verranno,

alle parole che saranno,

al sale da aggiungere o eliminare.

Io esterno un linguaggio già imborghesito,

per aspirare a gioia e fantascienza.

LA PROCEDURA D’INTERESSE

Si va oltre la mediocrità,

il filo sospeso di tutta questa dimensione,

mentre il buio della sera,

fin troppi calda,

trapassa le mie capacità di pessimo scrittore.

Non riusciamo ad appartenerci,

fermarci dentro le righe della nostra storia,

per trarne un dubbio,

un risvolto anche concreto.

Romanziamo paradossalmente,

parole che più non ricavano un sortilegio stregato.

La drammatitazzione sociale,

ci ha lasciati stecchiti,

nei preamboli freddi della rete,

dove commentare è diventato un lusso,

copiare un abitudine apatica,

spiare, un sordo piacere affine a certe identità.

Così sfioro lentamente ogni frase,

prima di mandarla giù,

prima di masticarla in sù,

rigettandola nel denso equivoco di una danza.

Non si viene al mondo per concepire,

senza un principio stabile di premessa.

Ecco,

io vengo alle parole come sperma pressante alle stesse.

PASSARE OLTRE

Mi sarebbe piaciuto sollevare i tuoi pesi,

sotto il caldo,

soffermarmi ancora un attimo,

trovare delle parole,

avere qualcosa da ridire,

una qualunque cosa,

pur di ricominciare a sostenere un dialogo.

Mi sarebbe piaciuto fermarti,

allentare questa presa gelida,

scaldarla,

come un tempo facevamo,

a modo nostro,

nella malleabile natura che solo noi comprendevamo.

Ma si giace nella dimenticanza,

si percorrono ostinati sentieri,

pur di non avvertire la scomodità dei ricordi.

Ma essi saranno sempre su di noi,

vegliardi o beffardi,

giudicheranno in base al momento,

al vissuto,

a quegli anni in cui non abbiamo saputo perdonarci.

CAPSULE DI VANITA’

Gentile autopsia,

sempre alla ricerca di se stessi,

in una diatriba omosessuale,

condottiera solo per misure anali.

Gentile autopsia,

vorrei che si smettesse di visitare questo blog,

l’anatomica cultura che borbotta,

e mette in riga un preambolo ricopiato.

Gentile autopsia,

gestirsi senza un ghiotto ritorno,

non sempre giova alla propria carnalità.

Gentile autopsia,

se essere sarcastici aiuta,

io ingerisco capsule di vanità,

pur di non avvertire l’assenza di un mondo carnivoro.

IL DISGUSTO?

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Non servono parole,

quando la poesia del disgusto,

è un arte tollerabile,

mediocre, certamente,

ma mai fuorviante e fuori logo.

Ogni attacco,

morirà sulla pelle.

Ogni dolore,

servirà per impararne di nuovi.

Ogni attesa,

non snerverà il clamore.

DEMONIO

C’è un demonio nelle mie parole,

mai stanco di adirarmi,

nella distrazione odierna,

riesce a danzare nel fuoco delle mie lacune,

filtrando pensieri,

allontanandomi dalle riflessioni,

insozzando del tutto,

il dramma che vorrei scrivere,

ma che non riesce a intervenire,

attraverso la metodica a cui sono abituato.

Sarò breve,

rabbioso,

un hit tremendamente pop,

pur di vendere in fretta,

la mia cultura già ravveduta.

Lasciate i vostri figli al vento,

radunate le idee per gli eserciti,

spazzate l’ipocrisia costante del cuore …

Il demonio,

alita dignitosamente,

su ogni accenno di sacralità,

per scarnificare l’oblio sedotto di un vecchio io.

Resti coinvolto,

perdi la resa,

e allora confondi ieri, oggi,

un domani che veniva condotto al secolo già tramontato.

UN PUNTO

L’aria parassita della sera,

è una magica esperienza che strangola,

mordendo pensieri per lo più fugaci,

a stenti,

attraverso lo stesso posto,

dentro la logica di una maschera,

una drammatica chiamata al dovere,

patria mai galera,

ma erbosa schiuma rap,

abrasiva quanto basta,

per deglutire la sopportazione di ogni male.

 

ER AZIONI

In questo luogo,

l’estetica diventa un orgia esile,

ove il nesso di un perchè,

si attacca alle mie mutande,

tenue erezione intatta,

piacere che sale,

senza mai recriminare un pensiero.

E spingo davvero fino in fondo,

la deriva che cospargo di bianco,

quando brucio di costante rossore,

e la pelle smette di compatirsi,

e solo allora,

un sonno ipnotico,

danza atipico,

riportandomi dove nessuno riuscirà a raggiungermi.

INTORNO FINZIONI

Se l’abbandono,

fosse senza mondo,

ogni progetto futuro,

smetterebbe di amarsi da sè,

nello scoppio che non parla,

ma traduce mostri etilici,

per la furbata opposta che attrae.

Sinceramente oltre i Venti,

vado al patibolo del mio sentimento,

per un panorama obliquo di stelle,

salvato,

ancora una volta,

slavato,

scaricato dalla stessa tregua in bestia,

i vulcani imprecano una terra troppo rossa,

per rimuovere la distanza di un Dio.

Non vengo,

prima di non avere abbracciato ogni significato,

tossico,

infetto per detti mai corretti,

disconosco le avventure che hanno raccontato,

e reagisco,

al regime che non ha saputo stregarmi.

BAMBOLINA

L’attesa di una sigaretta,

snerva l’aria calda,

ignorando ogni principio etilico,

oltre le devastazioni ovvie della domenica.

In bilico,

ufficialmente,

per l’ipocrisia che mi hai addossato,

solo per non avvertire

il filo scheletrico delle tue sembianze,

un ossuta malattia ostentata a fatica.

Ma ci sei? o ci fai?

Maledettamente ipocrita,

nella tomba che hai scelto,

per ricalcare gesta infami,

attacchi tenui,

deboli,

che non giungono mai,

al filo teso del tuo corpo,

mentre avvalli richieste di colleghi verso di me,

un virtuale tentativo di controllo,

un possesso che ti ha svuotato,

lasciato prossimo al degrado.

Ed io,

in questo embargo,

scelgo ancora di errare,

per sentire aria nuova,

sdruccievole passione senza odio,

a differenza tua,

sprezzante e deviato,

nel limbo che hai generato,

morendo ora per ora,

ripetitivo,

costante playback di un antifona stonata.

Sei l’ennesima bambola senz’anima,

alla ricerca del ventriloquo,

ma nessuno,

riuscirà ad addossarsi il peso spossante della tua persona.

Tirati su.

Volgi lo sguardo altrove,

impara dalle macerie evidenti,

a risollevare meno recidiva,

per il riscatto che hai smesso di avere.

Vittime – eterni giocatori confusi,

e tu,

il tuo altarino,

l’hai allestito per farti compartire.

The Winner is ….!

IL MIO ADOLESCENTE PER SEMPRE

Ti rivedo in ogni adolescente,

di certe serie televisive,

nella tenerezza di quelle immagini,

nei gesti goffi,

nelle argomentazioni,

che ti hanno per sempre fermato,

in quello stato d’età,

che non mi ha più permesso di esserti accanto.

Così,

davanti alla tv,

rispolvero i pensieri,

stendo un velo pietoso sul nostro tempo,

avendoti sempre al mio fianco,

tutte le volte che voglio,

irreale ma paziente,

sempre bizzarro,

con le tue trovate geniali,

senza alcun imbarazzo,

ma proteso,

agli slanci sbarazzini della generosa pubertà.

Ma un giorno,

tutto questo avrà ali migliori,

per impedirmi di giorire ..

e allora,

sarò chiamato a chiederne le motivazioni,

di cotanta abbondanza,

mentre misero,

abbozzo una solenne stesura di questo pianto.

Non più tuo,

ma comunque,

disteso tra gli eventi della nostra terra,

legato – o allegato,

alla finzione stereotipa del secolo.

Io non ti avrò,

ma pur strappando pagine velenose e sociali,

attenderò ancora,

l’ordine che mi ricondurrà da te.

ODE PUR DI LODE

Le cose che non esistono,

sono una pregevole varietà,

in mezzo al sozzo meccanismo collettivo,

ove solerte,

si resta come bloccati,

da una ressa fin troppo marginale.

Si decide di immergersi,

in cuciture estese della mente,

pur di elargire un sommato commiato alla disperazione.

La facile demonizzazione di ogni cosa,

supporta organismi putrefatti,

correnti alternate di pensieri,

e i poeti,

ormai,

hanno ceduto il passo all’hip hop,

coltivatori sangiunari di strofe al veleno.

Esorcizzando l’esteriorità,

il valore di una metrica,

su un groove veloce,

rateizza una paterna stupidità,

un logorroico disfacimento che non dà lavoro,

ma giace,

su strati gratificanti di ode.

Seppur di lode,

oseremmo martirizzarci,

nessuna testa mozzata,

si infrangerebbe,

sull’acerbo terreno del coltivatore.

Ode pur di lode,

nel serbatoio costante,

di una fioritura incolta.

 

FOGLI

Per scrivere,

bisogna regredire,

abbandonarsi al deserto del proprio Io,

dentro l’incerto,

di ogni passo,

seguirne le ombre,

il disagio evolutivo,

il cancro inesorabile che spossa la pelle.

Per scrivere,

bisogna smarrire sè stessi,

smettere i panni idioti dell’uomo,

essre prigionieri costanti di ogni verbo,

parola,

rimarcarne passo passo lo svolgimento,

la disarticolata oscena visione,

e credere a quell’onta parallela,

frutto della mente.

Per scrivere,

una prigione servirà alle tue sigenze,

per spogliarti del qualunquismo,

per affondare,

radici tessili in amabili sofferenze,

un affresco immediato,

un bagno di folla che sanguina,

oltre lo sperpero personale di un revival.

Per scrivere,

ho lasciato che tutti mi voltassero le spalle,

per una possibilità mai arrivata,

per un sogno,

che non smetto di accrescere, in me,

come frutto insano,

il solo che riconosco,

ineluttabile,

amabile,

segretamente mio.

Per scrivere,

ho preferito asciugare molte lacrime,

pur di non essere costretto alla menzogna,

segmentando il mio racconto,

asperso in terra,

su fogli immacolati ..

RETORICI

Astiosi,

inetti,

inutili:

vivete col rancore addosso,

imbarazzati e imbarazzanti,

allo stesso tempo,

coercitati da un espansiva meticolosa,

sorda,

velenosa,

e nello stessa acredine,

coltivate un angustia latente,

rigettando colpe e valori che non avete mai posseduto.

Giorno dopo giorno postate link del cazzo,

di amicizie che non esistono,

di delusioni,

di gente che porta male …

E se in fondo,

il male di voi stessi foste proprio Voi?

Si: Voi,

che accusate invano tutti per tutto ..

Coerenza,

un pò di calma,

e smettetela di stare sul piedistallo,

ad osservare,

a sprecare cavità “copia e incolla” dalla vita altrui.

Ogni male covato,

uccide sempre il suo precursore.

No, io non sono in grado di dare lezioni,

ma basta,

per favore ..!

Glissate certi riflettori,

smettetela di maledire,

affinchè il sole risorga,

dentro di Voi.

TREMENDO

Adottiamo un sistema immunitario asimmetrico,

per smuovere disarticolati prove grammaticali,

una maledetta sintassi imprecisa,

una svalvolata che riassume le cadenze sbagliate,

le rime mai ricercate,

il volere a tutti i costi,

essere gli ultimi della classe,

quelli che hanno imparato solo sulla propria pelle,

il destino di una frase mai fatta,

annusando effetti chimici,

o istinti sessuali mai consumati ..

Adottiamo un infallibile opacità,

all’emorragia promiscua del tempo,

mentre rozze abitudini,

filtrano pulsioni,

reiette congetture mai avvalorate,

tesi meschine,

teschi ancorchè giovanili,

in fondo a quelle siepi,

occhi inquietanti,

porte che non candidano alcunchè ..

Il veggente di turno,

ha reso irreperibile ogni traccia di sè,

proprio per annullarsi al mondo,

e lasciare possibili stesure vaganti.

IL MARE, LE PRIGIONI, IL SOLSTIZIO

Com’è doloroso,

vivere questa trappola,

un eterna prigione,

che non mi consente di respirare,

sviare tutta la tensione,

il dramma,

della mia intera esistenza,

abbarbicata su alte sponde rocciose,

ove tutto s’infrange,

smarrendo ogni sorta di dignità umana,

il vessillo esteso di una cima di speranza,

una disarticolata mossa,

per azzardare un estremo salvataggio.

Com’è impetuoso,

il mare in burrasca che mi assale,

queste dannate onde,

che mi spingono giù,

per la gioia dei miei dettratori,

per tutti gli amici che mi sono lasciato alle spalle,

e per la costante  nemica,

dei loro volti,

adesso,

con l’obbiettivo di sputarmi agevolmente addosso.

Com’è implacabile,

l’urto sconsiderevole della vita,

che si abbatte su me,

una tempesta,

un diluvio senza freni,

un terremoto che non smette di scuotermi,

svegliarmi dall’irrealtà ..

O forse tutto ciò è davvero Presente,

mentre cerco di arrancare nel buio,

un finale dignitoso,

un umana presenza che si assottiglia,

un volto mai pago,

un abbraccio mai giunto a destinazione,

un amore che non ha saputo allontanarmi,

da questo ciclone spietato ..

Com’è arrendevole,

una lacrima,

quando funge da identità sparuta,

e le guance,

non più acclamano ad un applauso,

mentre scende il sipario,

mentre il cuore giace in solitario,

mentre l’artefizio idealizzato,

sortisce una trama più ostile ..

Com’è nostalgico,

essere capaci di guardare a Ieri,

imbattersi in sogni troppo violenti,

per comprenderne l’audacità,

le parallele predestinate da ogni mio sconquasso emotivo.

Oggi sono testimone della mia resa,

proprio per non mentire,

ammettendo di avere smesso,

di rincorrere quei momenti,

in cui la vita seppe avvilupparmi amabilmente.

GIUDICARE LA VASELLINA

Giorni,

da bere come vasellina,

sono la migliore tregua,

a questa causa che avanza snaturata,

un non dire che presenta il conto,

scheletri che non stanno più insieme,

legami interrotti da facile torpore,

mentre la mente,

affida un legame speciale alla poesia,

alla prossima tappa,

seppur logorroica,

della mia inerte fragilità trotterellante.

I giorni,

come vasellina,

rendono una duttile formalità,

regale gentilezza sarcastica,

un dare approssimativo,

di pacata stoltezza.

La vasellina,

per il tempo a venire,

ottimo collante ad un segnale non rispettato.

La vasellina,

come giornale coerente al modello attuale.

La vasellina.

SIMBIOTICO METALLO

Ogni voce,

perdente,

assembla il potere misero di troppe carni,

una tratta che vince,

sulla sofferenza altrui,

col sprezzante denaro,

il vile – dio denaro,

una conformità ribelle e mite,

compravendita innocente,

simbiotica asfissia immorale.

Troppe macchine,

al posto del cervello,

governano una fase sfatta delle nostre vite.

Troppo metallo,

influisce il cuore a non avere più battiti,

e il sangue,

ormai,

è un tardivo rimorso,

di chi si è speso per sollevare il prossimo.

Domani avremo un altro volto,

per alimentare nuove rughe.

Oggi smettermo di fumare,

proprio per fingere interesse sociale.

Ieri collocheremo il rispetto mancato,

per ogni fiore immolato ai secoli del tempo.

 

 

 

QUI

Il cuore aggiorna l’indecifrabile decoro,

questa cifra prestabilita dagli uomini,

una rincorsa verso una Patria,

ormai sepolta dalla memoria.

Vado in cerca di umori,

vado alla chiarezza delle ipotesi,

dominando dall’alto,

questo giorno,

proprio per viverne al meglio,

ogni possibilità.

Vada come vada,

ci sarà modo,

per toccare il fondo,

per sfiorare ancora una volta la morte.

Ma non ora,

non adesso.

VOCI, FIAMME, SENTENZE

Il disagio,

gli spam,

le email indesiderate,

le risposte che non giungono mai,

le snervanti attese di unu revival osceno.

Il vivere quotidiano,

la resa,

il pulpito mai giudizievole,

l’arroganza che detta linee bendate.

Oggi,

ieri,

per sempre,

seguo l’arresto frenetico del Mai,

l’impasse a ritmo di una forsennata natura indegna,

una satanica imposta che paga dazio,

un terremoto fatto di aria,

una nevrotica e narcisistica pietà,

l’ultima danza che non risponde più al telefono,

la vendemmia,

mai raccolta di un ebbrezza satura.

Oggi ne ho abbastanza della pietanza,

della clausura,

del silenzio come gelo abituale.

Ieri ne ho un vago sensore,

un ricordo palliativo,

un ombra adescata per non mentire al Presente.

I mesi non danno forza,

le ore sputano in faccia ciò che non raccolgono,

e la sera,

indossa la cosa più sottile,

per convergere processualmente verso la tomba.

 

SOMME SPECHIFICHE

Per celebrare,

un onerosa mostruosità,

il mondo asembla pezzi speciali,

lodi mai assopite dal disgusto,

incantevole pregiudizievole spicciola.

Per annientare,

il rituale assortito,

basta fingersi attori,

meri incantatori,

pelle mai percepita ai meandri onerosi,

ma pura sconcezza,

pregustevole assurdità,

unica sfida,

alle molteplici virtualità.

Scendo giù,

da questo finto trono,

per possederne il rancore altrui.

Vado giù,

per l’inferno dettatotmi nelle indicazioni,

senza annullare le avvertenze …

Resto quaggiù,

abilmente asservito,

dallo specchio macabro di tutte le cose,

incluse nella breve intensità magistrale.

Somme specifiche,

somme corrotte,

somme mai prive di pioggia.

TORMENTI

Cos’è,

questa voce interminabile di rottura?

Se non una densa paralisi di emozioni,

catarsi,

strane evoluzioni lasciate al caso ..

Cos’è,

questa intolleranza umana,

al niente che mobilita la vita, il cuore?

C’è un battito solo,

un ultimo argine da abbattere,

prima di un degno testamento senza fili intterrotti.

FOSSE COMUNI

E’ il tempo che riduce le aspettative,

le emozioni.

Simili a spettri,

accettiamo l’inevitabile,

il sermone preimpostato da chi conosciamo,

e giorno dopo giorno,

avanziamo dietro un carrozzone ormai corroso dall’usura,

dietro un interminabile macchinazione di umori,

abissi,

facili discussioni intersecate nelle frazioni rissose del cuore.

Una facile sepoltura per ogni abbandono,

un arsura di troppo,

all’agevole fossa comune. Su, dunque:

niente fiori e lacrime,

ma una dedica meno implosiva.