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BENEDICETE

Ogni principio,

brucia una particella centellinare di sè,

un sorso sporadico che non produce ebbrezza,

ma induce alla verità,

ad una possibile convergenza più umana,

meno spietata del solito.

Se sono stato ebbro,

di questa condizione,

chiedo scusa,

perchè ad altri non sarà consentito farlo.

Trarre un anticipo di fiamme,

ne consegue una sequela possente,

ecco perchè,

i rimorsi,

se tali sono,

rendono opaca la sentenza altrui.

L’odio è sceso a gelare le emozioni,

le azioni quotidiane,

e certe persone,

un tempo amiche,

hanno smesso di perdonarsi,

perchè rapiti da un eccesso di ira,

che in fondo hanno sempre avuto,

solo che non si rifletteva abbastanza,

per comprenderle,

in tempi non sospetti.

Ebbene sia,

dedicarsi a voler male,

sia pura la vostra malattia.

A ognuno la sua.

Senza benedizioni.

 

AL MIO UNICO GRANDE AMICO – TESTAMENTO

Non durerà per molto,

questa esile vita,

gli imprevisti,

i problemi che avanzano,

la precarietà.

Un mea culpa,

un viaggio a ritroso,

nel bellissimo bagno di ricordi,

i nostri!

Che da sempre e per sempre mi accompagneranno,

da quì all’inferno,

perchè per me non vi sarà posto migliore di quello ..

Non avrò opportunità reali,

per chiederti scusa,

per incontrarti,

quella voglia matta di abbracciarti,

affondare dentro di te …

mentre mi ribadisci “ti voglio bene”,

e tutte le volte sentirmi a casa,

protetto …! (e ora rimpiangerle)

Una sensazione unica,

svanita nel tempo,

in questa retorica infame di ogni giorno.

Rimpianti? Una marea, senza fine,

un interminabile vortice che mi avvolge,

da un girone all’altro,

uno spazio infinito di feritoie gratuite,

meschine,

che non scemano mai,

ma aumentano a chiazza d’olio.

Non potrò riaverti su questa terra,

ormai sterile,

aspra,

indegna,

ecco perchè faccio manbassa di ricordi,

rincorrendo gli ultimi atti della nostra amicizia,

le parole,

maledette parole …!

Quante parole,

ma poi ci si perdonava tutto.

Ma se avrei continuato,

sarei stato uno stalker,

uno stupido persecutore,

mentre tu puntavi il dito su di me,

e tutte le mie certezze crollavano,

d’un colpo,

finito il mio mondo,

semmai v’è ne sia stato uno,

io l’ho avuto con te,

dentro ai tuoi occhi,

nella tua tenerezza buona,

nella bontà di ogni istante.

E quanto freddo,

quanti nodi alla gola,

soffocano un istinto che non regredisce.

Devo buttare sangue lo so,

e spero ciò ti possa far piacere,

saziare.

Ma chiudendo gli occhi,

ecco il mio cammino,

e ancora con te,

malgrado tu sia lontano,

uno spettro dimenticato,

ma non è così ….

Vorrei solo chiederti scusa,

vorrei solo smettere di sognare,

perchè lì sei nitido,

avvolgente.

E quando non sono sicuro,

o la terra sobbalza,

o qualunque altra cosa,

stare perennemente in pensiero ..

Ma non posso comunicartelo,

per non infastidirti.

Sappilo.

PRIGIONI DI CARTA

Non sono riuscito a romanzare,

quella voglia dispendiosa di appartenermi,

la libera agibilità,

di un percorso mai sentito,

arreso,

estromesso dalle prigioni di carta,

che le Lobby creano e sintetizzano.

Il potere non paga,

ma guarisce le frasi fatte,

incollate solo per mentire,

a dispetto della genialità altrui.

Il vero verbo,

assume una connotazione strutturale,

una sentinella d’avanguardia,

immodesta ed uterina flaccida particella.

Interiora costrette a riempir fogli,

un credere cosciente di parole in fuga,

mite prezzo condannato da un anonimo rancore.

Anonimi,

chiusi nel nostro intelletto,

preghiamo in questo Hangar di metafore,

per aggiungere metriche solleticanti.

Saremo ancora qui,

quando il mondo,

scorgerà una possibile distrazione,

a raccontare,

a modo nostro,

ciò che hanno frenato,

stroncato sul nascere,

la creatività delle nostre menti,

sangue e inchiostro mai pago …

LA FISICA DEL TEMPO

Volare in basso,

e la mia rivalsa,

la gioia che provo,

a vedere le cose dentro la terra,

quelle viscere rimembrate da cuochi infernali.

Avverto un minimo disagio,

un espediente che allontana,

ma rende tutto possibile,

raggiungibile,

un valido espediente per sortire il credo.

Il mio atteggiamento,

rasenta una stesura meno attraente,

un intransigente spettro vacante,

una perfidia tracollante,

una pazienza lasciata nei cieli ..

Volare in basso,

inganna i miei sintomi,

nel buonismo sedato da ragioni,

belle pulsazioni,

colori celebri alle intenzioni.

Pioggia,

freddo di stagione fuori moda,

collerica scienza,

di un coltivare senza fisica.

PELLE, ESPERIENZA PER SOPRAVVIVERE

Vita,

sperma,

solleciti in polvere,

teneramente ricusati,

per ogni sorriso vacuo,

la terra trema,

perchè sperimenta sanguinolente aridità,

sfide ai margini delle velleità,

una civiltà abbandanata ai clichè del sesso,

una macchia,

forse due,

a solleticar natiche più volte sollazzate,

paradisi accertati di carne,

robuste volontà da reiterare in bocca,

turgidità concesse a membri fin troppo virili,

per sminuirne il succulento pasto omosessuale.

E nulla,

tace,

dinnanzi al disincanto magico della sacralità.

Il selciato,

spinge ogni scrupolo,

pur di affondare radici cannibali,

dentro uomini privi di esperienza.

NUOVI IDOLI

Ampi reticolati,

alla cangiante scure del tempo,

lodi al mattino sprezzante,

inni lusinghieri ad un pianoforte,

bandiere tra le gambe già sudate.

Vieni,

nasce un nuovo idolo,

col volto bambino,

mangerà corpi a sazietà,

vomitando i limiti di ogni specie.

Grossolane sedute di chiacchericcio,

margini di poeti affranti,

rimorsi guariti da profondità carnali.

Vieni,

nasce un nuovo idolo,

una perduta rincorsa di pelle,

lembi e rigonfiamenti sessuali,

appetiti struggenti,

per il barlume vietato dalla mente.

Si innalza,

un nuovo idolo,

per volare addosso alle tue voglie,

proprio per smascherare la repressione,

la lungaggine temporale di un orgasmo sopito,

la supplichevole Sodoma che inietta piacere.

Si erge,

un nuovo idolo,

per bere tendenziosamente,

sulle rapaci voluttà di tutte le emozioni,

eruttando marginalmente e a fondo ..

Il ventre,

sarà rapito dalla perdita di coscienza.

PRESERVATIVI SERRATI

Il panico di un preservativo,

implode la propria regia,

interpretando un atto a sè veloce,

rapido,

incisivo,

abbastanza elettrico,

nell’incline metodologia selvaggia.

Piange,

all’alba già consumata,

corrode gli spazi,

argina e asciuga,

vitamine rimaste intatte,

ora sterili,

ora prive di contaminazione genetica.

Un demone esorcizzato alla follia,

un altro spazio negato dalla volontà umana.

E un alibi,

un preservativo,

uno schizzo inedito di follia,

un anfora non più ricusata.

Un inno incerto alla stanchezza che si ravvede,

l’indole eretta di tante paure.

CROMATICI

Non c’è connessione reverenziale,

droga che tenga,

quando il cuore ingloba una scorciatoia serva.

Non serve dimenticarsi,

annettersi agli altri,

tra gli avanzi di questa civiltà omertosa.

Non aiuta la paranoia,

il cigolìo di una sega,

o l’ennesima utopia del branco.

Non si esce dalla vita a pagamento,

dai bancomat,

dai certificati virtuali,

dallo spettacolo indotto solo a sedurre i deboli.

Lo stallo,

l’estasi libidinosa del momento,

come una spirale attira a sè erezioni libere,

condottieri incolumi ma già marchiati,

scimmie proterve all’inseminazione del maschio,

un dominio per acculturare l’anima al buco del culo.

Non affogo mai certamente,

ma il viaggio è un falso ben curato,

un enfasi spacciata per buona.

La burocrazia del falso,

partorisce solo inutili logiche,

deserti che svaniscono dentro le delusioni,

e consapevolmente,

i secoli,

respirano un altro affanno,

senza aver concesso spermatozoi sani alla specie.

ALI CHIMICHE

Io canto nel vuoto,

dentro la ricerca del niente,

già vinto dalle prerogative del mondo,

della gente,

di questa popolazione informata su tutto.

Io mi alzo solo per allontanarmi,

barricato nel senso opaco del cazzo,

disprezzo invisibile,

cuore bandito da ogni civile scambio di parlè.

Riesco ancora a rincorrere i ricordi,

a sentirne la puzza,

quel putrefatto disegno che non mi sfugge.

Sono le intenzioni nere,

il perduto bagno di folla di sè,

un elogio mai pronunciato,

un enunciazione troppo stretta,

per castelli relegati da lenzuola come ferro.

Canto all’assanteismo,

dentro qualcosa che non si scontra nelle urla.

Ma il silenzio,

voce decorosa della mia ugola,

usignolo ferito,

passerotto deviato,

reticolato per ali chimiche …

LINKANDOCI

Io che aggiungo un disastro dietro l’altro,

una pallida astuzia fatta di vomito,

mentre la gente,

non tace ai giudizi,

allo sputtanamento deviato,

che rincorre una bacheca come un puttanaio,

un nuovo lustro,

per questo secolo stanco di parole,

ove ci si affida a un link preconfezionato,

solo per colpire e affondare audacemente.

Ma quanta stupida vedette,

quanta florida devastazione,

non consente rivali,

nella flaccidità sterile,

di uomini che respirano il rosa,

solo per rincorrere la massa,

senza mai ascoltare il cuore,

dimenticando pure di possederlo.

C’è questo tuffo di ingerenza,

concime immaturo e drogato,

pioggia dorata di veleno.

Qualcosa che non basta mai,

un violino senza corde,

golosi impulsi del sentiero,

polizia annichilita per sordi poeti.

Il vento cambia le sue tube,

ma gli idioti,

non smetteranno di desiderare un cervello di asino.

I FUNERALI

Ma i funerali fanno spettacolo?

Me lo chiedo spesso,

quando ci si interseca in voluttuosi battiti neri,

voli mai rarefatti,

tra occhi deboli,

e sguardi che rasentano la perdizione.

Ma i funerali sono puro show?

Quando gli applausi coinvolgono il mormorìo,

il tiepido fruscìo del pettegolezzo,

quel cigolante borbottìo denso ..

Ma i funerali,

smetteranno di celebrare solo un tempio mai ovvio?

ROTONDI, INESATTI

Ogni buco del culo,

ha un sensore specifico,

uno spessore accumulato dalla verginità,

o dal troppo avere dato anarchicamente,

creando istinti blasfemi,

o puri piaceri carnali,

senza mai scorgere una denuncia,

un rimorso del cuore,

un rivolo di coscienza.

Ogni buco del culo,

ha morso in fretta quella rabbia,

per strappare un effimero piacere,

etero,

omo,

ha preferito glissare sulle richieste,

pur di sentirsi fieri,

di un amore che andava marcato a vista,

stretto ad una sorta di prigione collaterale.

Ogni buco del culo,

rasenta l’astinenza,

quando le parole,

non sono che sporadiche deviazioni,

e solo in quel momento,

percepisci che sono tutte facce,

tonde come culi,

ma sadicamente sconvenienti ad arrendersi.

Rotondi, inesatti,

hanno già finito di sproloquiare,

nel pudico abbraccio di una bugia.

UNA STORIA

Vita che si muove,

restìa,

assorta nei propri limiti.

Persone che fingono di essere interessate a te,

che si prestano a vigliaccherie postume,

aliene posture senza senso,

che traviano il cuore,

lasciando un segno indelebile,

una sorta di sacrificio che spergiura in Te.

Perchè fingendo,

di tempo non c’è nè mai stato per Te,

ma per svampire certe tendenze sì.

Ecco perchè ho smesso di insegnare,

credere,

stimolare interessi da relazionare agli altri.

Una storia,

si affossa quando sul nascere,

si usano scorciatoie stucchevoli,

per emozionare solo il proprio egoismo,

un tornaconto che disabilita il cervello dal cuore,

e grazie al cielo,

comprendendo ciò,

mi affido ad uno sbadiglio,

per chiudere in fretta la porta.

UN TAVOLO MEDIOCRE

Io non ho lavoro,

universi da condividere,

congetture romantiche.

Solo il disprezzo approssimativo di certe frasi,

la pornografia evidente,

che tutt’alpiù affoga certi istinti,

occhi allontanati dal disagio emotivo,

pur di redimermi in fretta,

da un ubriacatura che taglia a metà,

a fette,

la carne che non ho voluto,

la pelle che non h sfiorato,

gli anni che ho preferito affondare,

seppellire.

E non c’è cumulo di terra,

che non ha smesso di comandarmi di respirare.

Dove sarà,

il rimorso di un Addio,

l’eco molesto di un abbraccio,

il vivo timore di una chiesa,

il ritrovarso in comunione coi fratelli?

Ho reduarguito cimiteri scomodi,

scorto lapidi tenere,

fredde,

lasciate al torpore dei secoli,

mentre la pioggia,

ne annientava la polvere.

Nessun declino,

o paura,

un calcio meno rigoroso ..

VOLI

Se volare fosse così semplice,

l’ennesimo cavalcavia,

un ossessione mediocre.

Niente croci,

obblighi,

ma scheletri ben gestiti,

nascosti,

intolleranti,

bugiardi all’invisibile filo del tempo,

quest’ombra che si allontana,

tra bottiglie di veleno,

sortite da uno stratega negoziatore.

Uno stregone,

un apprendista pietoso,

al mio capezzale,

una vita che fugge di gas,

un assordante corridoio di follia ..

Icaro.

Se volare non implicasse sangue,

ogni balcone,

sarebbe un esatta metafora alle mie ali,

a questo mare in cui affogo,

librandomi,

ancora una volta,

sprezzante dagli individui,

dai visi che hanno smesso l’inganno,

dai baci che non sono stati ricambiati.

E l’eternità spiazza,

poichè il volo si spezza,

e la collisione,

non libera mai dalla realtà.

SONO SOLO VISIONI

Non v’è clamore mediocre,

solo una leggera sintassi,

per ogni parola che decide per me,

mentre la mente,

stabilisce i pezzi del racconto,

accatastando un abbraccio,

un incontro,

un istinto che ho fabbricato per realizzarlo.

Mi muovo disinnamorato,

divorato da occhi troppo carnefici,

per glissarne un ovvio epilogo.

Se cammino per strada,

le cose, e le persone,

assumono atteggiamenti circospetti,

ed io torno a romanzare,

a rendere tutti partecipi della mia volontà.

Un grosso foglio bianco,

ove incarnare sottili verità,

a spettegolare il dramma,

l’ironia,

a trovare il lato buffo o sessuale di ognuno.

Sono in fermento continuo,

divoro la carta,

attendo ispirazione,

sacrifico lo spirito,

pur di danzare libero,

nei meandri di un qualcosa che non c’è.

I TITOLI

Non imparo a vivere,

a lasciarmi andare,

all’allegria corrotta degli altri,

a fingere,

a tatuarmi addosso,

quell’effimera euforia.

Non riesco a vivere,

a provare emozioni,

a liberare,

questo processo allegorico.

Non rispondo agli impulsi,

trovo ridicolo sorridere,

mi nascondo per sopravvivere.

E’ un tempo breve,

amico dei nemici,

tenero per gli innamorati,

facile per i carcerati.

Non provo battiti,

motivazioni per condurmi mestamente.

Il finale,

semmai giungerà,

mi troverà stanco,

tediato dalla malinconia di un testo.

MOLECOLE

C’è un anima fredda,

nera,

che non riesce mai a definirsi,

a sottolineare la molecola impazzita,

il prezzo della carta,

degli incontri casuali,

degli abbracci,

che in fondo,

sono rimasti un esempio tangibile di egoismo.

C’è un anima,

nera,

che sottolinea il dispiacere,

l’arringa pazzesca di questo tempo,

un ventre del poeta mai affannato,

ma affamato,

una specie inestinguibile da cui

trarre coscienza,

coerenza,

un primo gioco sportivo,

un illusa stesura di un qualcosa,

uno spazio libero di raccontarsi per raccontare ..

C’è un anima,

nera,

all’avanguardia di troppe lacrime,

pur di non giacere in fondo agli scaffali.

FILO SPINATO

Nulla di marginale,

o costruttivo,

mi rende attento,

sveglio,

apatico.

Riesco a smuovere ogni nuvola,

arrossire tipicamente,

senza neppure sporgere denuncia,

rivendicandone il verdetto,

prostrando l’ennesima guancia,

una tratta amara,

sarcastica,

imbevuta di un altra bella pagina di errori.

Si,

gli errori,

questa volontaria militarizzazione di ogni aspetto.

Io non posso rimuovere un particolare,

provare almeno una volta a sorridere,

a rendere meno opaco questo disagio.

No .. ho già scelto le difficoltà,

il rammarico,

il filo spinato.

LA RICERCA DEL PRIMO BACIO

Un abbozzo,

cui la mente,

oggi,

accetta quelle venature,

la romantica scelta di ricordarti,

avvolto su di me,

in un pomeriggio di Marzo, (2001)

dentro la camera di quel piccolo Albergo,

ove tu cercavi e ricercavi,

in tutti i modi possibili,

di posare le tue labbra sulle mie,

mentre io restìo,

tentavo che non giungesse la fase successiva ..

Ma il candore docile,

cadenzava le mie guance,

che tu amabilmente lambivi,

una cosa seria,

intravista nei tuoi bellissimi occhietti verdi,

e già dapprima,

presso i giardinetti della stazione avevi cominciato a muovere ..

Poi,

il passo fu felpato,

deciso:

giungesti alla carnalità,

infrangendo le tue labbra sulle mie,

spinte,

morbide,

suadenti ..

Vi fu uno sguardo intenso ..

E da quell’istante,

fummo come rapiti dall’estasi,

nel cercarci,

copiosi e compromessi nell’avilupparsi del momento,

mentre tu mi rapivi da ogni ragione,

e solcavi la mia bocca,

ne intrecciavi la lingua,

spalmando e amalgamando a dovere ogni sapore …!

Ah, ripercorrere a ritroso,

un erezione a quest’ora,

sconvolge i miei anni,

ma ritorno ancora a Te,

a distanza di anni,

a riassaporarne la Gloria …

tentando di non spegnere la cenere,

che ancora brucia,

del nostro amore secolare.

Perchè i secoli non ci spaventarono,

le traversate,

il mare,

le peripezie di due amanti scellerati,

desiderosi l’uno dell’altro ..

Arthur,

che io non abbia mai a dimenticare,

la sottile percezione di questa annotazione.

Tuo.

GREATEST HITS

Questa parabola e finta rabbia,

un rotolo troppo spesso da raccontare,

polvere secolare senza rumore,

un racconto già inciso e preincartato,

un greatest hits,

per ogni momento che non abbiamo vissuto insieme.

Questo tempo,

finge un interesse di mezzo,

una certa importanza per qualcosa che non c’è,

un bisogno di assentarsi sommariamente,

per inibire tutta la rabbia,

il riverbero contrariato da ogni gettonatissima stamberga …

I titoli di coda,

assecondano la cadenza,

il veto rancido di un altro giorno,

sulle note mai sconnesse di putrefatta malinconia.

Non esistono letti senza persuasioni,

abbondanze che non ricattino l’agevolata miscellanea di un addio,

dita fin troppo bonarie,

luride a prescindere.

E il mio greatest hits,

un battito nero,

lasciato al caso,

al vento,

al secolo.

CATRAME DIPENDENTE

Restano immagini vuote,

opache,

trasmesse dallo schermo,

senza senso,

confuse,

irritate ..

La velocità compromessa di internet,

non riesce a distrarmi dal pensiero secolare,

da ciò che potrei essere,

dare,

cambiare.

Questo deserto virtuale,

ripiega su un istinto che incita violenza,

vuoto,

catrame dipendente.

Un passo sempre affannato,

sull’altro,

sugli altri,

solo per scavalcare la giusta opinione,

la densa rete fittizia di concorrenzialità.

Un uso improprio,

uno stupro perenne di stupidità.

Non ci sono misteri qui.

Solo enigmi lasciati per terra,

un puzzle che non suscita interesse.

LA MIA MANO SUL SUL TUO CUORE

Io,

forse tu.

Imparando a disprezzare la gente,

i modi,

le apparenze,

le tentazioni.

Al mio fianco,

l’ennesima tortura spossata,

l’ennesima arma bianca rivolta su di me.

Io,

forse tu.

un fermo immagine di quella stazione,

il tuo “hei”, per fermarmi,

mentre io avanzavo ancora per quella stradina,

il tremore,

l’impazienza.

Io,

forse tu,

quando hai sollevato la mia mano,

per porla sul tuo cuore …

Nessuna contraddizione,

solo momenti interminabili,

per i quali,

potrei morire oggi stesso.

PASSAPORTO PER L’AL DI LA’

Non siamo celebri,

disfattisti.

Cattivi poeti,

in un tempo incerto e mortificato,

ove sovente,

il seme tendenzioso,

avanza con suddita riverenza.

Non siamo motivati,

caldi, tenaci.

Non abbiamo il candore di una frase scandita,

non cerchiamo l’eternità per un vezzo,

un lento godere,

un molteplice rimorso.

Sappiamo sparare a vista,

fulminare con lo sguardo,

aizzare un guitto,

retralcinare con dovizia.

Uno stipendio vale l’altro,

una biografia,

non è mai un passaporto per l’al di là.

Non siamo umani,

datati,

non conosciamo i secoli che ci hanno preceduto,

non viviamo di occhi puntati,

non accettiamo i fucili.

Spariamo liquido seminale,

per illuminare e svotare certi istinti,

per lasciare acerba un erezione.

Non conferiamo,

nessuna onorificenza.

Un sermone stretto,

un quadro che non indaga,

ma che ruba l’attenzione all’amore.

 

UTENTE UNICO

Caro Utente unico,

non dare colpe a me,

per i tuoi slanci,

per aver lasciato cose in sospeso da pagare,

glissando palesemente su me,

quando sai esattamente bene,

che quel Capodanno,

l’avevi organizzato tu.

Ed io al solito,

non potevo sapere,

che a distanza di oltre due anni,

l’insolvenza sarebbe rimbalzata tanto ..

Ma ahimè,

l’amico in comune mi conosce bene,

mi spiace solamente per la tua ipocrisia.

Di colpe?

Ne ho tantissime, tranquillo!

Senza non potrei andare avanti mortificato.

Ma in questa corsa a ostacoli,

ho imparato a vincere con il sangue,

e ciò mi basta e avanza,

Senza retorica nè rancore.

NON APPARTENGO

Perchè io non appartengo,

perchè in fondo non sono qui,

seppur qualche volta azzardo una pulsione,

un istinto in cerca di te,

di quella terra ferma di bellezza,

di queste nuove tendenze,

delle prospettive che non riesco a comprendere,

ma che tassativamente vivo,

non relazionandomi compulsivamente.

Perchè io non mi appartengo,

perchè sotto sotto,

gli occhiali da sole,

mi sono serviti per coprire la timidezza,

la bassezza comportamentale dell’impaccio,

la nozione troppo evidente di essere un pesce fuor d’acqua.

Perchè ho vissuto a fondo il tuo abbraccio,

l’aver finalmente coronato un sogno,

fermato il tempo,

nei pressi di quella stazione,

mentre il vento,

d’impulso,

non smetteva di emettere i suoi lamenti,

slanci naturali di ovvia caducità.

Perchè adesso sono incapace,

malgrado l’età,

di dimenticare,

una cosa talmente bella,

che mi ha fatto rinascere.

Perchè non appartengo,

perchè so che non avrò altre occasioni,

e l’averti respirato a fondo,

non lo dimenticherò mai.

IO NON SONO

C’è qualcosa che non mi rende obbiettivo,

lucido, identitario.

Cosciente di cotanta forzatura,

in mezzo a un mondo sopraffatto dalle bugie,

dalla violenza,

da un continuo molestare l’altro,

senza tregua,

senza alcun denominatore ovvio.

C’è qualcosa che vive al posto mio,

che malsopporta le croci,

i crucci,

i percorsi a ostacoli preimpostati del giorno.

Io non sono imbarazzato,

io pratico l’illusione come intuizione.

C’è qualcosa snaturata sulla mia pelle,

non conforme alla società,

ai vizi globali della moltitudine,

un volo sempre di parte,

dal basso – e per il basso,

una becera innovazione troppo iniqua,

un vero dramma,

per nature inverse,

per squali affamati d’amore.

Ma io non sono.

 

ANOREKSIA

C’è molto che non riconosco di te,

mentre invecchi,

stanco,

ermeticamente composto nella tua malattia,

sottile come una foglia,

adagio,

ti muovi a fatica,

senza lasciarti inondare dal calore di questi giorni.

Eppure lo scheletro che ormai avanza,

non lascia spazi,

al paffuto energumero felice.

Hai catalogato tutto in fretta,

hai lasciato che la mente ti fuorviasse,

per indossare un ingenerosa inappetenza.

Adorno,

nel tuo corpo,

fragile ma provato,

riduci le tempra a labili castelli preimpostati.

E su ciò basi la tua esistenza,

chino su quel cellulare a contare i giorni,

le ore,

aspettando che passi il bus per portarti via ..

Io non provo più nulla,

da secoli,

il raccontar storie ha elargito questa maschera senza cultura.

Solo uno scatto furtivo,

un istantanea mossa,

ma deleteria,

nel rattristare la realtà,

il fumo denso del male che nutri per te,

una farsa che non sei riuscito a respingere,

un palliativo per scaricarmi addosso ogni colpa.

Se inseguir sè stessi,

diventa poi sinonimo di scopiazzatura …

Se costringersi al degrado,

arrapa ogni istinto ..

Se la generosa viltà,

l’hai lasciata svilire …

IL VERGINALE TEMPO

Se il tempo smettesse,

di pioverci addosso,

come una mattanza,

un incorruttibile mannaia,

la velocità delle cose,

delle voci,

la cordialità di un rapporto,

adempirebbe a sacra bellezza,

dentro vestigie ornamentali,

a candore profuso a intensi attimi di spiritualità.

Se il tempo ricercasse la bellezza,

il carnale riapproprio di ogni gesto,

se l’incedere di nuove leve,

non fosse pervaso dalla carne,

il ticchettìo di una sveltina,

non andrebbe perduto nel godimento sprezzante.

Se il tempo non ci giudicasse ..

Se fossimo davvero cannibali,

onnivori di una voragine dietro quelle siepi ..

Se riuscissimo a guardarci negli occhi,

senza lo scambio affannato dell’orgasmo,

tutte le colpe,

sbalzerebbero in un verginale sapore elastico

di pura innocenza.

 

LA METRICA

Continuo a creare sogni,

li visualizzo.

Nascere lentamente,

mentre chiudo gli occhi,

e pacatamente,

mi lascio pervadere,

da quella danza ipnotica,

lasciandomi ingoiare,

sputare in qualsivoglia situazione,

vagando senza percezione,

ma con gli occhi,

che frugano specchi insolenti.

Poi, il ritorno,

non è mai abbastanza ovvio,

scontato ..

Talvolta,

rallento un emozione,

per pulsare ancora,

dentro la danza equivoca di un sogno,

e nei meandri sperduti del cuore,

rincorro maschere e volti,

sempre lì,

per me,

a sollevar obiezione!

Ma tastabili,

percettibili,

introversi …

I soli bsogni che nascono

per soddisfare un inquieta voragine di metrica.

L’INQUISIZIONE DI UN RACCONTO

Si forniscono dati incerti,

mentre imperverso a impazzire,

relegato tra i miei fogli,

a seguire una storia,

una sommaria eccitazione di prevalsa,

nel racconto mai sterile di certe emozioni.

Io assorbo il pensiero,

e bevendone la successione,

mi accomodo stanco,

a sfruttarne il piacere,

il giaciglio,

la penombra suggestiva del foglio.

In formato mai digitale,

annoto ogni scurrile indecenza,

rilevando imperfezioni,

cataste di idee alla rinfusa.

Ad un passo dal finale,

prima,

accedo alla risonanza mai ovvia del terminale,

e tutto,

si accomoda facilmente a quello che non posseggo,

alimentando l’incedere della narrazione,

storpiando la novella,

abbrutendo il quadro,

pur di spalancare porte che in vita mia non ho mai aperto.

IL VERSO DEL PERCHE’

Perchè ci sono sbadigli,

che compromettono l’anima,

armi cedute in cambio di rimproveri,

obblighi mai sottovalutati da screditare,

sermoni da ascoltare,

tacere,

assorbire del tutto,

prima che il cambiamento attraversi la mia zona,

e assolva il peccato.

Perchè non ho rime da rilegare,

nè amplie vedute spiazzanti,

ma l’ennesima corrida amorfa di ogni gesto.

Perchè il mondo se ne frega se respiri,

perchè tutto è questione di danaro,

una larga fama di consumo che ci costringe a fingere,

allegramente coinvolti,

nella successione di maschere piazzate sul viso.

Perchè non ho mai compreso,

fino in fondo,

il valore associato ad un ricordo,

ma con essi ne ho condiviso i momenti,

le tensioni,

la sofferenza.

Perchè non sono capace di svegliarmi,

per poter ridestare tutte le mancanze nelle quali scivolo.

Perchè al fine di tutto ciò,

resta sempre un punto interrogativo,

un enigmatico e solerte intento,

di scomodare la somma dei miei perchè,

per ristabilire una voce che non è la mia più mia,

ansimante,

tra tentazioni che giocano a macchiare il corpo.

TENEBRA

Un margine di rischio,

ruba il mio tempo,

rendendo tutto imperfetto,

indecoroso,

all’ombra di grandi ali nere,

ove tutto soggiace avidamente ..

Un margine di tenebra,

evidenzia il mio grado comportamentale,

a inondare cespugli,

vedute troppo stanche,

per glissare, o mettere a fuoco l’obiettivo.

Una lunga aurea desaparecida,

converte questo momento di fragore,

un intenzionale implosione di viscere,

di mondi paralleli,

facili opportunisti,

sconce visioni masturbate per sedarne l’istinto.

Si torna a peccare,

increduli di cotanta peculiarità,

percorrendo strade deserte,

svolgendo un ruolo incancrenito,

socialmente futile alla gradazione sessuale.

Un cuore ormai alla deriva,

sciolto in troppi incantesimi,

evaporato in sentenze scomode,

lasciato a morire per dipingerne altre funzioni.

Una tenebra,

un fulgido esempio di tesa scaltrezza,

suscettibile ira zelante,

morbido colloquio masticato più volte.

COMODO

Se mi giustifico,

e per correre ancora da solo,

un anima nera impazzita,

un corruttore esausto,

un fascio di nervi sempre alla ribalta,

da facili tentazioni,

da vetrine allettanti,

da sguardi che non onorano mai,

un pallido sensore equivoco.

Se non abuso degli altri,

e per differenza di tempo,

per ostacoli insormontabili,

durevole e spacciata contropartita,

fragili fili tesi a saggistica in sommossa ..

Se mi giustifico,

e per spirito di sacrificio,

vanagloria in attesa,

rumori pervasi durante la notte,

ruoli e pedine stanche,

grammatica contorta,

rime inesplose,

e tanta,

tantissima inesperienza in voga.

 

NEL MIO IO

C’è un basso profilo,

un ostinazione di base,

un trucco,

dannatamente appeso agli occhi,

che annerisce la parte peggiore di me,

rendendola iniqua,

inesplorata,

vigile su ogni parola o persona.

C’è iniquità versata,

ingente produzione da rimarcare,

versare,

assicurazione che non copre certi danni,

un intervista di troppo che recrimina,

una posizione carina,

che gonfia la sua parte migliore,

esperta,

labile,

pungente,

a riempire vuoti monastici,

dentro deserti che sommano tempo.

C’è violenta documentazione,

guai che patteggiano alla fretta,

calma lucida di chi implode miserevolmente …

Nel mio io,

concludo alla svelta le trattative,

nel mio io,

inganno le ore per anestetizzarne la situazione.

Nel mio io,

non escludo colpe,

ma disegno produzioni astratte,

senza mai porgere un guanto di sfida.

IL MIO PERDONO

Troppi percorsi umani,

mi hanno portato a errare,

in sconfinati luoghi senza senso,

dilatanti serbatoi di menti diaboliche,

sarcasmo munito sempre da traiettorie imposte,

innata spregiudicatezza,

serbante immaturità debordante.

Troppa gente,

ha creduto di piegarmi,

ai loro modi evasivi,

gentili,

visuale pallida di un sistema inerte,

senza mai spogliarmi,

della solitudine di cui mi sono armato,

amando a piacimento,

qualche sporadica menzione,

fragilità interiore,

taciturna irrealtà di regole,

sponda mai esanime di me.

Troppi fili,

invano,

non sono riusciti a saldarmi,

attenuarmi,

spogliarmi di un passato mai passato ..

Fin troppi,

si sono specchiati nella fisicità di un momento,

rompendo uno specchio marginale,

avvallando stranezze,

senza mai perseguire all’anima,

al vero frammento,

che mi rende ancora distante dalla società,

dal vezzo sottile che camuffa certi sentimenti.

Ecco,

oggi riparto dalle parole,

dalla democrazia saccente delle mie necessità,

proprio per rincorrermi,

pur affaticato e sgomento,

nella speranza di raggiungermi,

e chiedermi scusa …

Perchè Ieri,

non sia più una colpa,

ma un perdono che aspetto da una vita intera.