ESERCIZI DI CUORE

Necessito di scelte primordiali,

per tornare su strada,

attraverso un ritratto meno sterile,

ovvio per statura,

normale per paradossi.

Ciò che conta,

necessita sempre,

di maggiori scuse,

quasi non vi fosse l’occasione,

di precludere attenzione,

sollecitazione.

Ma e solo per amore,

se qualche volta,

ci si dichiara perduti,

attaccati per riferimento,

cuore e danaro non importa,

la differenza pare scontata.

CANTO EQUILIBRIO

Mi piace mendicare,

trovare metodica la vendetta,

attendibile il ricorso alle emozioni,

straziare queste carni,

pur di tenermi tutto dentro,

implosione empatica,

candore primordiale ad ogni tentennamento.

Sono assorbito dalla solitudine,

tendenzialmente fragile,

a ridosso di di candele cadute dal cielo.

Da qui,

il vento è una tormenta di ipotesi,

un puzzle di cartacea negligenza.

So piegarmi ancora,

senza raddrizzare torti,

o spartendo gli equivoci.

Io sono l’equivoco,

il mezzo bidone da cantonare,

l’idioma di per sé abbattuto.

AVVENTISTA

Scegliere,

decidere,

ogni nuovo giorno comporta una scelta,

una strada da intraprendere,

un cammino da avviare,

una tregua da seminare,

disseminare,

in perfetta sintonia anonima,

un tassello di simbiosi,

un raro germoglio di timore.

Tengo a mente il dolore,

mi rammarico del peso,

dei sostantivi perduti,

di questa immane tragedia di carne,

disinvolta eppure alata,

su di me,

dentro me,

come Dea vendicatrice,

diabolico angelo di velluto,

opportuna voce di resistenza.

ASSAI TESO

Talvolta,

riesco a toccare ancora i ricordi,

riscaldarli,

umanizzarli,

trovarne uno stimolo,

per avanzare coeso nella speranza.

Ma questo barlume di intelletto,

dura assai poco,

quando le mie mani cominciano stringere,

ritrovandovi la dissolutezza del momento,

uno spessore alquanto incline,

a qualcosa di ancora reale,

carnale.

Ecco,

i ricordi mi sfidano duramente,

pietosi oppure arroganti,

assecondano un istinto predatorio.

 

AIZZATE IL CANTO

L’uso improprio della materia,

lo sprezzo egalitario di moneta corrente,

la corruzione individuale,

altezza o bassezza,

di stature inibitorie.

Sono al punto di partenza,

destinato a grandi cose,

degno di lasciare il mondo in rovina,

come i miei precedessori,

errati o erranti,

in bolge meno convenevoli,

ma assai convinti,

di aver saputo imbastire il popolo,

con generosa fatica intellettuale,

sullo spirito di scritture carnali,

promesse mai a vanvera,

erotismo solo di lettura,

pornografia a tratti adolescenziale,

su inesperte pubertà in candore.

Lo spolvero,

decanta l’osceno,

in virtù di scellerata fortuna.

RARAMENTE

C’è troppo imbarazzo nell’aria,

un tiro mancino soggiogato,

una sentenza di sfida,

un cappio che non stringe abbastanza forte,

per sdrammatizzare ovvietà,

ridicole fregature dal sapore oggettivo.

Rimango muto osservatore,

rilegato nel classico cliché di veduta,

sarcastico quanto basta,

nondimeno stigmatizzato dal fervore.

Eppure si muove,

a fatica,

nel respiro dannoso di recupero.

Sono le ore migliori,

a ingannare il principio,

l’attesa,

l’avanzare sinuoso del calcolo errato,

l’arretrata convinzione di possesso.

Ogni giorno visiono catrame,

occhi possidenti,

chiacchiericcio in riserba,

auto in flessioni di carne umana.

Molta tappezzeria per nulla,

tanta ingordigia per un istante pop,

eco di stelle in giuggiole,

vetrine disgustate di rimorso.

IL CUORE NOTTURNO

Quella trazione negativa,

la forza scaturita,

il seme fuoriuscito nel sonno,

lo stimolo sedotto in sordina ..

Tutto mi obbliga a prescindere,

a rendere vana la speranza,

le mani,

lo spartiacque di una sequela di azioni.

Riesco a determinare solo poco centimetri,

quasi ebbro di spergiuri,

nientemeno confuso,

prontamente indefesso,

tra solchi e deterrente di materia,

agitato senza bussola,

convinto di bruciare la fatica,

la parossistica gemellanza di degrado.

Una ultima nota,

un procedimento dagli esiti scontato,

ma calcolato per distanza e fede.

MUSCOLI DI TOPO

E’ presto sera,

sulla tappezzeria ovvia,

sulla luce bianca del portatile,

sui tasti azzoppati a fatica,

talvolta di corsa,

su note poche allegre e pigre,

i Tool eseguono un sermone patetico,

ma esige l’ascolto,

per non tralasciare nulla al caso,

di inusitato o deviato.

Devo sempre provarci,

valutarne l’offerta,

farmi una opinione decisa,

prima di cantar vittoria,

su certi stereotipi modaioli.

Forse rischio di trapassare,

o di calcare troppo la mano,

nella mia vasta collezione di materiale.

Ma non posso farci niente:

declino l’offerta,

e alieno le orecchie.

DIAMETRO

Sarà determinate,

essere originali,

provare pietà per il prossimo,

brigante alle occasioni,

ostacolo in processi devianti.

Tutto il mio percorso,

si segmenta su sparute foglie grezze,

un albero assai estinto,

piagato dalla storia,

raccontato senza tramandarne parola,

stantio alla leggerezza,

eppure presente,

come un qualcosa da dover estirpare,

manipolare.

SOLO E QUI

Mi piace riscoprirmi carnale,

ancora vivo,

emozionato,

ma pur sempre insoddisfatto,

se poi non riesco ad additare,

toccare,

sottomettere il piacere,

trarne la funzione logica,

smaterializzarne la purezza,

l’asprezza,

dividerne il tenore vivace con qualcuno.

Io dimentico in fretta,

così come tutti questi anni,

sincopati e atroci,

in questo eremo di sani principi,

zavorra troppo ingombrante,

castello assai meticoloso,

peccaminosa prigione di intenti mai consumati …

Io erro ancora,

io pregiudico la carne,

sottomettendo me stesso,

capace di menzogna allo specchio.

Ipocrita per natura,

avrei scopato come un ossesso,

figlio di un alter ego romanzato.

Non mi resta nient’altro.

DANNATO EGOISTA

Quando perdo il controllo,

a tratti torno ad essere docile,

addomesticato,

avendo per mentore,

una vecchia associazione a delinquere.

Aiuta parecchio,

darsi da fare con la mente,

scavare i brandelli del passato,

estrapolarne le promiscuità,

tutte le occasioni perdute,

lasciate cadere nel vuoto,

per questa dannata ritrosia!

L’ingombrante sagoma che racchiudo,

incarno,

vivo ed alimento.

Sono assai pericoloso,

mentre rischio di implodere,

soggetto a pulsioni mai concepite,

comprese,

provate.

Io, per tutta la vita,

ho solo immaginato:

il sesso, il piacere, le fantasie sconce …

Pura e santa immaginazione.

TRAINO DI SANGUE

Dove vanno le mie ombre,

quando inseguo plenaria ascesa,

drastico per scelta,

guerriero osceno e a brandelli,

fragile ego al consumismo,

tassello salvifico di progenie e memoria.

Ho bevuto il tuo sangue,

perché dovevo,

un sacrificio necessario,

per mutare la ragione,

avere più carne e meno fetore,

ho tradito la tua fede,

per elargire un ricordo storico,

un ricorso necessario,

un dramma dentro la storia,

una svolta fedele al compromesso,

al calice zelante e rosso.

 

AI VERBI

Si vocifera,

oltre misura,

creando illusioni,

marcando il territorio,

rovistando l’anima,

lasciando i verbi al passato,

gerundio assai prossimo al collasso,

equivoco di massa,

di prassi,

italiano non protratto,

italiani non recepiti.

Si chiacchiera,

limitatamente,

perfetta congiunzione di menzogne,

sterili giochi di potere,

strumentazione quantica,

suoni sordi alla guerra,

cannoneggiare per oltranza.

TRAINO IN NERO

C’è un target di paura,

una misura molto approssimativa,

un chiaro equivoco di intenti,

nel mostrare i simboli,

i segni sulla pelle,

gli acciacchi prodotti volontariamente …

Una sindrome vanifica,

sgualcita e vitrea tendenza all’abisso,

ventre pulsante di rimorsi,

pozzi essiccati da fianchi spessi.

Mostri comunque celeri,

adatti al compendio,

trita instabilità di sano torpore,

agevole mistura di sangue.

Vanno fatti a pezzi,

disuniti per fede,

unti per fitta corrispondenza.

TAGLIATO FUORI

Che strano,

trovarsi dal barbiere,

posto dinnanzi un grosso specchio,

mentre il ragazzo fa il suo lavoro,

e di tanto in tanto,

la sua mano si poggia sul mio volto.

Piccoli istanti di calore umano,

minuscole sensazioni dipanate in me,

capaci di trasportarmi altrove,

in quella ricerca di affetto che ho smesso di trattare,

amare,

correggere e capire.

 

Poi metto uno Stop al cuore,

malgrado,

tenda a ricordare le sue calde dita,

il lavorio diretto e acronimo.

NONA PORTA

Toccami ancora,

dentro questa pioggia,

sotto un vestito sbilanciato,

ago europeo di zeri assoluti.

Salvami spesso,

dalle longilinee paure,

da quel rasoio che non si risparmia,

dal pungere erudito di emozioni,

tratti di pelle fieramente contratti,

taglio netto e verbale,

mani dentro mani irresponsabili,

eppure individuali luoghi di calore.

ERETTI AL COMANDO

Masturbarsi,

è un confronto con se stessi,

una voce univoca di conto,

un punto fermo,

per stabilizzarsi interiormente.

Quando si smarrisce la voglia,

si resta a guardare senza produrre,

danneggiati dall’assenza di stimoli,

prenditori e imprenditori scarni,

volubili statuette di misura.

Ogni problema,

non nasce da alcuna direzione,

basta restare eloquenti,

sulla salvifica erezione di contrasto.

Magari non riemergerà un etero,

ma neppure uno scarto bisessuale di sinuosità.

FEDE ONLINE

Che cosa cerchiamo,

nel valutare questo tempo di ombre,

per vie dirette senza record,

malevoli voci di espianto,

stridore ad ogni lorda menzogna.

Siamo garantisti per menzione,

crediamo in forze e potere,

ma il noccio plescibitario,

riacquista una pronuncia di popolo.

Le piattaforme,

dettano le vostre regole,

incanalano fede e ardimento,

pur non avendo molto da offrire.

Oggi vi sarà stupore,

eppure non verrà dimenticata,

questa lezione di abiura democratica.

CARDIOPALMA

Forse riconosco le parole,

il silenzio che ho assimilato,

il vero martello post ideologico.

Forse non ho più bisogno di altro,

se non fissare il vuoto tutto intorno,

quello stesso vuoto che ho costruito meticolosamente.

Ecco,

giunge il tarlo del disagio,

del voler dire tantissime cose.

Ma non ci riesco.

Ho sbagliato,

e non mi sono scusato.

MARTELLI E DINIEGHI

Sono giorni opposti,

di chiara matrice sensitiva,

un vero apporto alle mie nubi,

a questa polvere iniqua,

a ciò che ho smesso di credere.

Settembre,

non potrebbe essere diverso,

tempestoso e reale,

alquanto metafisico e arcigno.

La sola chiave che ho perduto,

si diletta a perpetrare la mia vita,

gli angoli eretti di miseria.

SETTEMBRINI

L’anima di Settembre,

lentamente,

accerta il mio respiro,

trovandomi in fasi assai complicate,

assemblato in minuzie,

tratteggiato su dardi esclusivi,

arenato sul diritto e l’onore,

ancora embrionale,

malgrado il processo di invecchiamento.

L’anima di Settembre,

agita il cielo,

cambia lineamenti,

vanifica nebulose,

accentua visi e sgomenti,

alimenta il contrappeso,

studia i dissimili ibernanti.

L’anima di Settembre,

sbarazzino di riforme,

taglia corto sull’estate,

allunga ed estorce nuvole,

su orizzonti cautamente veri,

irrorando campi e sementi,

attigua figura di scoperte,

designatore nobile,

su cervelli e poeti.

SCARTI

La trama sembra inorridire,

glissare agevolmente,

su rare forme di cuore,

pieghe impazzite,

di vesti cangianti,

eco bruciato di voci già lontane.

La campagna non è il mio forte,

l’odore acerbo di mediocre calice,

facilita l’ebbrezza,

il sospetto di vecchie abiure.

Tutto ha sopralluogo e carattere,

tutto si spoglia della virtù,

su pochi diavoli ancora in piedi,

privi di fiamme e dominio,

il possesso non sarà più di regola.

DIPENDO, DIPENDE, SI INTENDE

Credo non sia mai fuori luogo,

questa nuova avversione,

protratta verso esperienze estreme di gola,

vizi contrari che rientrano di diritto,

un tentativo di volgere al passato,

senza confondere le acque,

fragilmente indotto dal vizio,

cauto all’usura e alla stanchezza,

pronto a rincorrerne lo scandire dei giorni,

delle ore,

una dimenticanza che allungo man mano,

divorato dall’attesa,

drasticamente spento nell’aspetto.

Vivo per rendere onore a questa tossicodipendenza,

vero plauso veemente,

imminente catastrofe che non tratto,

ma respiro coi suoi aggiornamenti e tentacoli.

SOLO BLU

Ho bisogno di accuse postume,

un bagno di folla asfissiante,

per trarre in inganno certe lacrime,

movenze appartate di assoluto disagio,

una lotta impari di grassa sostanza.

Io beatifico solo il necessario,

indottrino e coniugo verbi sgrammaticati,

da sempre analfabeta della cultura,

inseguo i miei rimorsi,

i fantasmi possibili di ogni vertigine,

benedicendo matrimoni,

e smacchiando fardelli ormonali.

Da brava commessa,

arranco nel mascara,

senza mai trarre rughe al fato.

PIRATA PER CASO

Forse dovrei imparare qualcosa,

darmi delle regole,

imparare a civilizzarmi al prossimo.

Ma risulto sempre estraneo alle circostanze,

assai ingenuo,

straziato dal momento,

causa differita di trasposizione temporale.

Avverto la mia presenza,

ma al contempo co esisto altrove,

in funzione di un livello sconosciuto,

ammutolito beatamente,

quasi in trance emotivo,

mi espongo ed esporto ciò che sento,

e da lontano inseguo una rotta millenaria,

una valorosa diatriba che fingo di avere aperto.

DEGRESSO

Questo riverbero di silenzio,

immotivato e assai razionale,

riesce a darmi cause,

effetti,

non affetti,

tipologia di suoni,

ricusazioni.

Collaterali vertebre di guadagno,

tecniche asserragliate di rapida usura,

tresca improvvida di carne e ossa,

saccente calura di fine stagione.

Gli occhi seguono altri indirizzi,

gli occhi riconoscono già,

gli occhi non mentono mai.

LA CODA

Forse,

dovrei imparare a rispettare certe scadenze,

pormi delle domande,

avere meno fretta nel disprezzo altrui,

tentare almeno,

una rara forma di comunicazione …

Ma sono tutte cose ovvie,

che non mi appartengono,

sinistri tentacoli di coerenza,

dettami di mondo,

perimetri cui ho già detto no,

tutti nodi e segmenti innaturali,

onde e furti di coerenza,

dimenticati con gli anni,

in questo girovagare di conoscenza.

MEANDRI

In questi giorni,

alterno sogni ricorrenti,

frazioni inesorabili di vita quotidiana,

famiglia,

uno spaccato assai interrotto,

ormai ,,,,

ciò che di traumatico mi preoccupa,

è dovuto al drastico risveglio,

alla mortificazione attuale,

il sapore delle cose perdute,

gli abbracci sepolti in tutta fretta,

il cuore dismesso per conseguenza.

Questo riesce ancora a tenermi sveglio,

saturo di rabbia inespressa,

implacabile verso le rughe,

dentro una comoda vecchiaia,

forse sovvertita dalle troppe amarezze,

o probabilmente,

una attuale conseguenza di alchimie ascritte.

Non temo il presente,

ma sono certo,

di non saper estirpare alcuna radice di ciò.

DIALETTICA

Ho bisogno di tatuare queste impressioni,

imprevedibili fusioni a freddo,

contraltare di afa assoluta,

in un fine agosto degno di nota.

La vera ragione,

del resto,

solletica sempre l’intelletto,

a marginali note di poco conto,

eppure il suono non è mai,

lasciato al caso.

Lascio che la cucina si avvolga,

soffusamente dell’audio,

e Prince Rogers Nelson,

coinvolge e sconvolge,

passo passo al pianoforte,

uno sconcerto di emozioni.

Io lo seguo attentamente,

allentando la memoria,

deambulando il più possibile,

questa vecchia sirena di elemosine.

Esteso a sacrifici senza sguardi,

ottempero la mia natura,

rilevo spietate e bizzarre nevralgie,

navigo sul tedio,

espongo e depongo,

ma non mi fermo.

Sarà la ruggine,

forse l’età,

ma da questo precipizio impuro,

comunque,

mi cimento ancora egregiamente.

Lasciami al mio mestiere,

alla mia arte povera,

alla negligenza che mi contraddistingue,

al potere assoluto che rilevo,

quando una tastiera,

e delle parole,

vengono a mordermi la lingua,

il cervello,

le dita …! Mentre tutto scorre,

mentre tutto si muove,

agitando ben donde un ammutinamento.

ABBINDOLATO

Sembro non trovare collocazione,

una giusta posizione,

opposizione,

per arginare questo male di vivere,

una oppressa espressione divisoria,

concatenante causa di acciacchi,

perenne solitudine,

dialogo assai muto,

asservito,

quasi una cena ovvia,

data in pasto ai cani,

morsa con fede,

ma sempre con l’occhio buttato sulla strada.

Nessuna vigliacca toppa,

ai sogni che mi intrappolano,

visioni in estemporanea,

di un qualcosa di tangibile,

eppure fatto di rimpianti.

La conclusione,

giunge come una scure deprecabile,

cui tento facilmente,

fragilmente,

di ricrearne il mito.

NO RAIN

Non conosco il valore delle giornate,

questo sapore aspro di trasparenza,

largo respiro di committente,

traino evoluto di vettore.

Indico una mediocre terzietà,

arruolo suoni e parole sul momento,

quasi figlio dell’istinto,

vuoto per paradossi e ragionamenti.

Ma ci sarà ancora pioggia,

determinante in natura,

onerosa e dirimente,

inattesa ma di peso,

sugli equilibri infuocati di molti cervelli.

 

REPUBBLICHE IN NAFTALINA

Siamo l’espressione di un Italia,

formalmente fatta a pezzi,

creata su reti e basi di informe natura,

nessuna plausibile convinzione di coesione,

ma l’ennesima riprova di Prima Repubblica,

espressione massima di plastica bruciata.

Resta in piedi,

il furto di Presente,

pur di fugare veemente elargizione di spessore,

chiarezza.

Tra i molti abissi e derive,

l’attuale narrazione dei fatti,

ci riporta di diritto indietro nel tempo,

quasi a voler scomodare figure mitologiche,

di una Era sentita nei discorsi dei grandi vecchi.

Oggi si fa a modo Loro,

oggi si torna gradualmente al passato,

sena tralasciare,

che quelli di un attimo prima al potere,

non erano meglio degli ultimi.

Eppure lo scontento si formalizza nell’aria.

IN GENERALE

Resto fuggiasco,

chiaramente plausibile,

alla mole di interessi,

quasi oggetto di contestazione,

eppure perfettamente in linea,

conforme al mondo,

ai modelli esistenti,

alla furia che ci possiede.

Incalzo il mio tempo,

non rivendico nessuna lacrima,

ma rivesto il mio ruolo,

da bravo soldatino democratico,

identico per gioco,

diverso per emozioni,

tragico per voluttà,

pagliaccio per estetica,

un nero e tristo figuro,

un famelico ozioso di strappi estranei,

maschera connessa all’interfaccia,

pitale di conforme natura,

eppure veemente.

Solo l’alba,

include qualche tentativo,

una altalena meno truce,

ai risvegli traumatici,

ai sogni che sono stati un j’accuse,

pioggia di concerto,

su posizioni e acustica.

Da qui determino fragore,

una fragile bussola di estinti pallori,

dimentico dei modi,

paco di buffo rigoglio.

TASSI E BASSI

Non ci sono orrori maggioritari,

giacché sopravvivo del mio dettaglio,

orrore cementificato,

in anfratti scardinati giù in cantina,

una esatta preclusiva di sgomento,

un rispetto che devo a me stesso,

una logica che non permette diametri opposti,

pareri sfavorevoli.

Lo scotto che pago,

è la prova generosa di terzietà,

anima ancora in disuso,

eppure soffusa,

sul contendere di uno schema costruito.

L’indice non menziona la scansione,

ma le prove del cuore,

sono assai evidenti,

scosse di virgole misogine,

ettari di poltrone spoltrite.

SULLA CORSA

Ho bisogno di restare veloce,

obliquo alla memoria,

mai arrendevole ai giudizi,

pregiudizi,

orrori odierni di una maschera precoce.

Ho una urbana voglia di perire,

diverse anime omogenee da deglutire,

annettere in programmi poco concertati.

La mia origine,

non sembra mai uguale:

questa alleanza che mi divide,

soggioga la presenza altrui,

una chiara matrice edulcorata,

il cardine neutralizzato di peregrini maculati.

Oggi rinchiudo la resa dei conti,

la polvere della mia pistola ancora fumante,

ostinata al veto della realtà,

al sangue comprimario e dimezzato.

DRAMMI DRUIDICI

Sto cercando una soluzione,

al peccato che non mi ravvede,

alla spirale di glassatura,

da cui espongo proporzioni,

livelli sempre sconci di biasimo,

quelle vetrate di rimando,

scuse mai eccessive,

o dotate di normale acutezza.

Dal basso della mia saggezza,

riconosco il deterioramento,

gli sbagli,

ma non riesco a frenarmi,

a porre un simbolico obolo di scaltrezza,

come pietra meno rosolata.

Io offro e soffro,

sulla dismisura cosciente,

su piani intellettivi di feconda post giovinezza.