UN TARLO SEGUE L’ALTRO

Le prime ombre,

mi colgono impreparato,

quasi incerto sul da farsi,

su questa illogica bassa frequenza di stimoli,

iodio allo stato puro,

irriverenza da tastiera,

precoce cottura a bassa stagnazione.

Assimilo come posso,

l’orrore quotidiano:

l’informazione,

non smette di dar fuoco alla carne,

alla mente,

uno stimolo spesso di troppo spessore,

cui necessito una boccata di ossigeno.

Ma dove?

In quale libero spazio,

tendere una risoluzione meno pedante?

Ciò che concerne l’esistenza,

del resto,

vibra mitologie stoiche,

una sorta di patrizia stesura,

approssimativa solo per logica,

mai per una esatta scienza filosofica.

Le dune sono spente adesso,

il prigioniero si scalda come può,

un televisione,

qualche movenza con lo smartphone.

La soluzione sembra a portata di mano,

eppure non v’è più spazio,

per un simbolo meno atroce,

un ricordo di qualche tempo fa,

quando anche lui,

poteva fare a meno di certe diavolerie.

Avanzare,

non significa sempre essere nel giusto.

Lo sa bene,

ma frattanto,

non smette di rendersi meno ibrido,

sulle frequenze comportamentali degli altri.

Tutti fratelli,

tutte sorelle,

stilizzati da un univoco grande pensiero di leggerezza.

Così lo vogliono,

così vi vogliono,

figli senza filtri,

drogati a propria volta,

di una volontà che non governa più le vostre membra.

Ci si stanca,

ma non di digitare,

ricercare,

complusare.

Dramma nel dramma,

il riepilogo detta già un rigetto bonario.

SENZA PRESENTE

Il varco direzionale è spento.

Oggi,

la sola figura valida,

conclude un raggio d’azione in scatola.

Gli scarti di pelle,

serviranno da monito,

agli avanzi di pensiero,

lasciati a posteriore,

monito coerente di presente,

succo vitale di urbana civiltà,

attrito e ossigeno,

incognita stucchevole ma sublime.

Nell’ombra,

il vero Io ci obbliga al silenzio,

ad uno stordito orientamento,

rude metodo di monito,

acclarata chiave di svolta.

Nelle pagine a venire,

il narratore,

smetterà le sue funzioni,

l’orrore.

Forse ritroverà l’infanzia,

il perno esistenziale,

una esile speranza per sé e per i seguaci.

Ma l’Oggi non permette sbagli, abbagli.

COSPIRATORI

Molto silenzio,

troppi cuori in agitazione,

tanti fili strappati da quella grande illusione.

Il maestro riconosceva,

l’arte della narrazione,

il fulcro del vero articolo,

la contromossa da sottrarre,

il piacere assai in vizio,

eppure alimentato da uomini e donne.

A nulla è valso lo scontro,

sennonché certe stratificazioni,

sinonimo di algida fierezza,

hanno svelato il trauma,

il nirvana cosciente di ognuno.

NELLA MIA TESTA

Quando avrò la sensazione di cadere,

tra questo limbo e un nuovo inferno;

quando senza cuore varcherò quella porta,

nella sincronia inespressa di virtù;

quando le mie mani tremeranno ancora,

sul sospetto di uno scorcio metafisico,

ogni cosa,

stabilirà un contatto perverso,

un chiaro avanzamento di prigione,

una didascalia superiore,

alle virtù tenute nascoste,

ai modi eccellenti,

agli sguardi pietosi,

a quella gola osannata,

ma comunque stanca,

di piegarsi agli eccessi,

agli sforzi di chiarimento.

La riga tracciata,

del resto,

trema e trama,

trauma innaturale di potente veemenza.

Quando la stesura blindata del corpo,

avrà il disavanzo del fascino,

una meno contrariata fusione,

ma duttile coerenza di abbaglio …

forse solo in quel momento,

giungerò alla causa dipartita.

Senza scuse.

IL VEICOLO

Arbitrarie facce di culo,

riescono ancora smuovermi dentro,

un vasto dominio di sentimenti,

ribollente acque mai in fuga,

capaci di evacuare in caldi getti di sperma,

poiché il nemico è soggettivo,

prossimo alla violenza,

a quella approssimazione di piacere devastante,

maschera mai incolta,

eppure necessaria,

per abbeverarsi alla lussuria,

alle erezioni giornaliere,

condite da un torpore stupefacente.

Torno sui miei passi,

sempre scurrile e possessivo.

Ma solo,

tacitamente sommesso da ogni nube.

DECRESCITA

Una stagione rafferma,

un chiaro riferimento agli idoli,

alla infanzia violata,

al mordere fugace di un frutto proibito.

Poi le emozioni sono volate via,

quasi a volerne rafforzare l’abitudine,

il diniego come obbligo scolastico,

i primi deterioramenti dell’animo:

la prima solitudine non si scorda mai!

Quella fattiva,

in mezzo a tanta gente,

o dentro un aula,

mentre cerchi,

di prendere posto in un banco qualsiasi,

travisatine del cazzo,

e turbamenti oltraggiosi.

La vita,

dissimila e assimila circostanze,

visioni che non sempre,

abbracciano l’intelletto,

la vera apertura sociale,

ma attende di mordere,

affinché il veleno entri in circolo,

a violentare la carne,

i tratti somatici.

Poi tutto cambia,

si volge al peggio,

crescendo,

le cose peggiorano,

alimentano il disprezzo altrui.

Io ho solo la colpa di essere qui,

a dover spiegare i miei sentimenti,

l’apporto suggestivo di questa nera armatura,

tutto il sarcasmo accumulato,

in vicissitudini stressanti.

Ma ora,

l’abitudine e di casa,

sotto la scura pelle del mio cuore.

Fatevi avanti,

so badare a me stesso,

reincarnarmi senza un sesso,

e spiegare grandi ali di sedata viltà.

 

LICENZA DI SUICIDIO

Trovo alquanto inutile,

trovarmi ancora qui,

accedere alla password,

e prostrarmi a scrivere,

l’ennesima melensa riscaldata.

Eppure lo faccio mio malgrado,

gioco assai esoterico,

un modo per tenermi a bada,

o per sbarazzarmi della sfida,

di questa riserva iniziale,

che produco mio malgrado.

Oramai ho già detto,

visto tutto,

spalancato gli occhi,

sulla miseria altrui,

dopo essermi nutrito della mia.

Non c’è niente là fuori,

neppure qui,

in questo piccolo spazio di coerenza.

E tutto perduto,

e tutto un parlarsi addosso,

una vanvera di chiacchiere al tramonto.

IN VIGORE

Il carnefice di turno,

verrà a rendicontare la mia vita,

i preamboli spinti,

quelle vedute fantastiche ed oziose,

la speranza perduta,

ogni qual volta ho sollevato lo sguardo,

per saziare l’obbligo della carne …

Quanto fuoco,

dinnanzi alle mie viscere,

nel bel vedere altrui.

Il macellaio,

baderà alle erezioni trascritte,

i base a leggi e a comportamenti,

sconcio od ozioso,

saprà reprimere quelle lontane fantasie,

quel trastullarmi senza un oggettivo interesse.

Nulla al caso,

caspita!

Casco a pennello per rimorsi mai compiaciuti,

goduti.

Re dell’impossibile,

in urbane circostanze di restrizione.

CORVI ERUDITI

Necessito di nuovi affanni,

per sprovare la mente,

ai venti alitati di eutanasia,

questa nuova Auschwitz prorompente,

olocausto alle emozioni,

al deleterio profilo della mia carne,

sentiero nobile di occhi,

orecchie,

udito prontamente rapito dalla musica …

La filosofia,

è rimasta ancorata alla mia pelle,

come un ancora mai turbato,

un eccedenza selvaggia,

un motivo in più per scattare in piedi,

e vedere traditori a piè pagine,

nei racconti che la vita stessa,

non mi ha permesso di trascrivere.

Ma e tutto qui,

nero su bianco,

basterebbe una recondita analisi,

per trarne lucida agonia.

Alle parole,

ho esteso un accento di acredine,

affinché nulla,

mi ricordasse il diritto di nascita.

 

LOTTA DI COERENZA

Quante eccellenti angosce,

affreschi necessari per la mente,

disamina del corpo,

involuzione scellerata,

puro egoismo di facciata.

Troppe volte mi sono dato per vinto,

tante altre volte,

trarrò inganno da queste feci,

non senza turbare stati d’animo eccedenti,

parassiti dal cuore labile,

cavilli di carne,

in attesa di sottrarre tastiera e parole,

una fuga sommaria,

dal blocco emotivo che raramente dimostro.

Sono alquanto scosso,

demotivato,

stordito dal pediluvio emblematico.

Riservo un angolo tutto mio,

un egoistico senno per la scrittura,

affinché le cose avvengano per ordine sparso.

DAL CARNEVALE

L’assoluto di un bacio,

il vero ricordo sopito,

dimenticato,

più volte scavallato dal presente,

dalle prigioni cui non sono evaso,

perduto in diaframmi di pensiero ardito,

sepolto in costernazioni di giornata,

costrizioni basate su logiche di facciata,

una maschera dentro la maschera,

capace di evolvere bellezza,

cicatrici e funzioni reali del viso,

assai primordiale,

scolpito nella memoria già arresa.

Ecco, dunque,

ciò che non rammento,

traina giocoforza,

questa faccia un tempo amica,

atipica per certi versi,

eppure la sola che avevo,

per dimostrare umanità.

CONTRO IMMAGINE

Su molti territori,

la mia memoria labile,

teme sistematici attacchi,

un riserbo di natura biologica,

una nutrita svolta populista.

Ma si difende ancora bene,

da ignobili attacchi,

da pensiero unico,

imberbe rimozione altrui.

Non intacco diatribe di moltitudine,

perseguo la meta,

gustando un Era assai travagliata,

ove l’accomunarsi a qualcuno,

equivale a smarrimenti identitari.

Ma uno sforzo,

sminuisce quel che consegue,

apparati di base già mitigati.

Nessun legame di sottofondo,

arsura mitologica di avvicendamento.

Io scaldo la poltrona,

io prediligo il controcanto,

una chimera una volta benevola,

oggi burla e dal sapore masticato.

Ieri è un avanzo di cultura,

uno scorcio teso di equilibrio,

quasi una macchia,

all’io che oppongo al quotidiano.

SOLITUDINE CARNALE

Quando nascondersi,

era una traccia sicura,

un cammino obbligatori da seguire,

una arrendevole disfatta di se stessi.

Cambiare,

rende nobili,

ignoti al fato,

al mestiere che vorrebbe spezzarsi.

Tutto,

si basa e spiazza,

regole giostrate in contromisura.

L’onda d’urto,

poi,

perpetra cautelari misure di riserbo.

Arresto la memoria,

ma non il suo contrario.

Tendo ancora all’erezione,

a fallici desideri,

ma queste vampate di calore,

non incontrano alcun soggetto del desiderio.

Incontrovertibili fantasie,

nulla di più,

alla giacenza,

mandata già in memoria,

un fottuto stand off di perduta onniscienza.

Al mio tempo,

forse,

relego una filastrocca meno degna,

ma alquanto necessaria,

accomunata da immagini sempre in movimento.

Io danzo equivocamente,

io bagno ancora il letto,

senza ravvedere un corpo a corpo.

FUORI BORDO

Non ci sono fatti esteriori che io riconosca,

prove disunite di pura grammatica.

Addito ancora l’amarezza,

detengo a priori il sillogismo,

difficile,

portatore ingrato di frenesia.

Non mi lagno abbastanza,

probabilmente,

mentre la stesura di conti e rivolte,

aggiogano un fronte,

più volte previsto.

Ecco l’elargizione,

il tentativo poco argomentato,

espletato compito di filiera.

La verità,

corrompe e scorpora,

ma non assoggetta il campione.

VIENE GIU’

Ribadisco la mia eresia,

questo bisogno di pioggia,

di paragoni assai dissenti.

Il mio lavoro non guadagna  vedute,

osservato speciale com’è,

si sofferma sulle intenzioni di dialogo.

Muto,

stordito dallo stridore,

ho imparato a non fare chiarezza,

dubitando persino della tempesta,

delle voci in netto contrasto,

collaudo illogico di chimera.

Soffoco.

L’energia non mi da segnali.

La fatica non va mai al conto.

FORME IN SPIRITO

Una linea orizzontale,

un tracciato già sedentario,

parvenza di sottile rossore,

prossima fermata?

Chi lo sa.

Travolgere,

o farsi stravolgere,

epica questione di bordo,

inattesa lancinante repulsione,

sterile ammanco di fertilità.

Nuda terra all’intelletto,

flagello regnante di modi,

orsi,

scimmie cambianti,

colori ringalluzziti dai gesti.

ANGOLI D’ORO

Città d’oro,

urla sconnesse di intenti,

posizioni agiate e deleterie,

dettame parodistico e imperativo,

pura evasione di inezia,

superficie eretta da troppi riverberi.

Insormontabile,

sarà risalire la china,

versare altro inchiostro,

provare un senso di marcia diverso.

Invero solo pensarci,

eppure utile al sottofondo,

di pioggia e lacrime,

rimpianti e diurne vetrine.

Fermati con me,

l’urbana scimmia non si arresta,

ma risiede nella scienza dell’avere.

Figlio

GLI ASCOLTI SI FANNO SPORADICI,

MENTRE LA VOCE,

SMETTE DI ALZARSI.

A MODO MIO,

CONTROCANTO,

UN CONCERTO SOLITARIO,

UNA RISALITA DI CUORE,

TENDENZA ALLA TENEREZZA,

UN FIGLIO ….

LA SOMMA DI TROPPE COSE LASCIATE AL CASO,

IL BISOGNO DI AVERTI CON ME,

PERCEPIRTI,

COLTIVARTI,

DARTI QUALCOSA,

SENZA GUARDARE AL SANGUE,

MA AL RECIPROCO SCAMBIO DI INTESA.

SCHIZZO

Mi piace custodire con educazione,

conservare un buon ricordo,

pur fotografando,

una amara realtà,

ingiusta visione perenne,

quadro di un popolo in declino,

voci in contrasto,

sul fare del giorno,

o durante il giorno.

Resta una volgare imitazione di chiacchiera,

una grande chimera mai arrivata al punto,

capace di seppellire questa moderna attitudine.

Dovremmo tornare indietro,

arrenderci all’onore,

tradire i ruderi del post social,

per creare un nuovo prequel,

un ginocchio meno allibito,

alle imprese rapite dalla maggioranza.

Ma qui,

sembra tutto ovvio,

scontato,

nato per luna storta.

 

OLTRE LE COSE

V’è sempre un fondo di verità,

nel cuore della menzogna,

alcova generosa,

spesso infruttuosa, però,

di sporadiche sentenze.

C’è un palmo di mano,

un solco unico,

chiaro e atroce,

slancio parodistico,

univoca pelle di rose.

Resta lo slancio,

antico folclore di renitenza.

Poi, la cenere ribassa la parola.

MILIARDI OR SONO

Creati nel caos,

instabili al vuoto,

l’universo arrise allo sputo,

prima di masticarci,

essenzialmente per prova,

digiuni di gloria,

non avevamo idea,

di come avremmo ridotto la terra,

questa imposizione accresciuta,

di generazione in generazione,

sino a cavalcare le menti altrui,

onnivori per dovizia,

nessuna particolare fede,

solo un drappello di rotoli,

tra Egitto e mar morto,

un mantra alchilico di valore,

correzione già indotta allo sfacelo.

Avremmo cambiato la dignità,

piegato eserciti,

avuto la gloria per paragoni,

ma nulla di assai eterno ….

FORMULE

Configuro me stesso,

pur tradendo un filo di trucco,

quello che ho smesso,

anni or sono di usare,

per mascherare certe ovvietà,

ossessioni più o meno di decoro,

favole in nero,

che comunque,

non ho smesso di raccontare,

giostrare,

sulla via maestra di un grande regno.

Indomito sul da farsi,

resto attento alla distrazione,

a ciò che turba molti cuori,

senza interferire o dare l’allarme.

Aleggia nell’aria,

ma non scende mai per colpa.

La maggiore ipocrisia,

del resto,

in virtù di vetuste città abbandonate.

 

I CONFINI

Un moderno rossore,

un modo accomodante,

di restare alle porte,

sdraiato su sogni di propulsione,

invettiva regina e madre,

moderata mancia retribuita.

Il povero solleva se stesso,

il badante ribatte l’anziano,

il cieco blinda se stesso,

la società,

invecchia voracemente.

ESIGO

Esigo rispetto,

silenzio,

un figlio.

Rifuggo condizioni agiate,

mi adatto alla preistoria,

affronto i preamboli sconci del giorno,

le ore,

implicazioni legate agli altri,

ma non mi interesso di nessuno.

Quando chiudo la porta,

non una sola lacrima,

avverte il mio intimo.

Ho imparato a seppellirle,

in qualche parte di me,

che non riuscito a scovare,

tirar fuori,

anche perché,

sarebbe un primo passo avanti,

una riappacificazione desueta,

in gloria all’io.

Ma niente di ciò,

sembra catturare la mia attenzione.

Esigo oggetti,

comporto musica,

espando il consumismo,

vesto di nero,

indosso il Love Symbol,

consumo litri di profumi costosi,

avverto sensibilità per occhiali costosi,

tutti al femminile,

tutti consenzienti alla retta via,

alla desueta profusione di me.

 

TERRANOVA

Seguaci di Terranova,

barbaro popolo in esequie,

cazzuti barbari dalle teste dure,

bolgia di esemplari in piscio di escrementi,

ancora esacerbati nello strumento dell’erezione,

rudimentale palo,

aizzato su qualunque cosa si muova,

con o senza buco,

l’importante è sfogare,

penetrare,

sfondare ogni porta plausibile,

una immane desertificazione dei proprio averi,

una intensa orgia di seme intestinale,

catarsi della specie,

linfa per intelletti votati al turpe inganno,

voci assai precluse,

giammai succinte di candide vesti.

Nudi e rozzi,

nudi e puri,

su Terranova,

coltivatori berberi di calore anaffettivo.

Sulla spiana di nuove forme di vita,

il disprezzo ha raggiunto il sangue,

modificato la razza,

reso amorfo il destino umano.

Ora,

la rotta e impari,

ma improntata al rinnovamento genetico.

 

QUASI MORBIDO

Le cose che nascondo,

prendono valore,

agli occhi della gente.

Un aspetto inatteso,

a cui ho sempre dato poca importanza.

Io getto alle ortiche i miei averi,

ed essi,

si arricchiscono di materie prime,

affinché il sostegno economico,

rafforzi il disegno umano della specie.

Ma non sono prontamente sicuro,

di essere determinante per gli altri.

Mi sono solo basato su numeri,

formulati a caso,

in questo bestiario della mia vita,

fondo ed acredine d’essai,

mole sormontatile di deserti irrequieti.

La stagione che credevo alle spalle,

disdegna la sua prole,

e da inerme iniquo,

continuo a proferir menzogna,

pur di salvare questa miserabile pelle.

SOGGIACE IL SONETTO

Ciò che eravamo,

si libra in putrefazione,

come una finzione,

protratta in avanti,

una scorciatoia asservita dal denaro,

questa nuova mancia all’intelletto,

una fatica che più non ferma,

il racconto destinato a retrocedere,

su scarsi terreni di asprezza.

La cambiale al posto del cuore,

ottenebra il diritto di franchezza.

Ma spesso diciamo ciò che siamo,

pur colpendo a fondo,

pur sapendo di ammazzare,

e non per sentito dire.

Breve il passo per il crepuscolo,

talvolta di tacito assenso,

poderoso richiamo alle membra inoculate,

turbate dall’io,

dai drammi di sangue,

spartiti su scarne recitazioni.

Ora vivrò,

ora divorerò,

le fiamme alte dell’inferno,

il colore pietrificato di un demone,

l’altura sporgente per le omissioni,

il folle,

il divoratore,

il condottiero macchiato.

ROMBO DI DECADENZA

Il rumore è costante,

la memoria distante,

bozzolo cucito addosso,

come un qualcosa da difendere,

protrarre in discolpa,

una escandescenze scena di orrore,

il disgusto spezzato da ventate di sarcasmo,

la famiglia dissoluta che più non teme.

Le trame sono segmentate,

ovvie,

frattanto slegate da parentame.

Non mi resta che incidere l’atto,

vergarne la firma,

attendere l’esito finale,

e assorbire in fretta il declino.

FORME ACUTE DI BELLEZZA

Le cose che ho visto,

sono polvere adesso,

fiato sprecato,

a ridosso di questa pelle,

cicatrici caute e sempre aperte,

causa ed accusa costante,

angolatura insidiosa,

di carne e strati mai cauterizzati.

Ora riconosco,

il valore della morte nel cuore,

questa lontana vedovanza volitiva,

come una fede,

una calorosa stretta di mano,

il suggello necessario,

per dirsi addio in vita,

su promontori senza supporto,

approccio assai scomodo,

eppure tagliente,

spaccone,

colmo di cose non dette,

rivelate in fretta dalla rabbia.

Caro un bel niente,

drastico appello alle ultime forze.

Cadere, o esiliarsi,

che importa …

Persino al pietà si beffa di me.

AGONIA

C’è un vuoto dolente,

dentro me,

che non cicatrizza mai,

ferito ogni qual volta,

le parole prendono il volo,

all’usuale congettura

al muro che si infrange su di me,

parallelo alle emozioni,

ai rimorsi,

al ben che comunque,

invano ho tentato di assecondare,

servire.

Mi è chiaro,

ormai,

Famiglia è una parola vuota,

finita,

spacciata dal dio danaro.

Quindi,

resto ancora qui,

percosso da sputi ed epiteti,

servo a mia volta,

di una cultura consanguinea.

Ma croce sul cuore,

o su quel che ne rimane,

impavida maschera,

imparerò a solcare,

scavare,

affinché tutto torni sterile.

FORME

Singhiozzi di cani,

alito abbassato,

singulti sedentari di abiura:

il giorno presenta le sue scatole,

civiltà dissolta in bollore,

costante necrotica e palliativa.

Il moderno,

angola ripetute destrezze,

attigui a cessi di stazioni abbandonate.

Ma lui non ascolta,

rileva il tranello,

ma non avverte il pericolo.

Ma il cane abbaia sempre,

libero di incidere un riverbero latrato.

CONCAVO ANNESSO

L’effetto,

rende le sue lacrime.

Forse improprie,

eppure così dispotiche,

necessarie alla causa,

alla fine di questa partita,

impari lotta di intenti,

figlia di moderna inquietudine,

lampo esterno di luce,

giorno assai concreto,

sul riposo di profili e cartelli.

Ritengo doveroso,

svolgere sino alla fine,

questa indigesta arcata,

valle riconosciuta per sinonimi,

corpo estraneo alle masse,

applausi mai troppo sudati.

Mani …

ancora deluse dall’appiglio,

cadranno preda del momento,

quando la ragione,

spegnerà l’elusione,

su illetterati basamenti.

RANTOLI E DESERTO

Eccolo il sangue,

il barlume necessario ai figli,

alle generazioni defunte,

raccolte nel mio occhio,

pronte a divenire pia illusione,

su alture troppo posticce,

raccolti di agglomerati carnali,

segmenti dotati di gps,

umana derattizzazione alle opinioni,

al basso ventre,

alla cultura dello smartphone.

Io colgo in fretta,

dispotico tra le loro gambe,

rilettura quasi farsesca,

di un romanzo lasciato alla deriva,

ma abbastanza noto alle cronache,

alle pastoie del tempo,

a questo grigiore di melma.

VAMPIRI INQUIETI

Troppi vampiri sedentari,

fanno ritorno ai propri giacigli,

senza aver assaporato la vita,

il sangue,

questa cultura decadente di umani,

cristiani.

Del tutto fuori moda,

impazziti dinnanzi allo sdegno,

questi aguzzini leggendari,

hanno spinto più del necessario,

la loro sete di potere.

Ma l’eternità,

non ha più ragione di esistere,

mentre il freddo inanimato,

li governa a retrocedere,

malgrado l’abbondanza.

Questi vampiri solo per supposizione,

volevano rapirci il cuore,

stanare i sentimenti,

riordinare un flusso assai neutrale:

ma sono incappati nel tedio,

lussuria di giovani e vecchi,

e ciò che hanno bevuto,

ora,

li innalza a bestie definitivamente condannate.

TURPE

Mii sembra impensabile,

filtrare regole,

svalutare comportamenti,

trarre giovamento dal disprezzo.

Eppure per secoli,

non ho fatto mai abbastanza,

pur recitando lo stesso ruolo,

una repressa occasione venuta meno,

in occasione di libertarie opportunità.

Io riconosco il mio mondo,

quelle piccole espressioni che abbozzo.

Sembra non vi sia altro,

da poter essere vissuto,

affrancato degnamente.

L’IDEALE

E il momento di spingere,

di sollevare certi pensieri,

percepire l’assenza di un figlio,

proclamarne l’attesa,

lasciar fumare il cervello,

sulla idea fissa,

finestre e spifferi,

tentativi di rammarico,

rincorse di ostacoli,

voglia di farsi avanti,

ma l’inibitorio freno attenua,

la precipitosa soluzione.

Resto ad un passo dalla soluzione,

fregato da me stesso,

ma tentennante quanto basta,

per compiere l’ideale.