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I FRAMMENTI DI SEMPRE

In questo spazio senza tempo,

ho costruito una maschera fragile,

l’ennesima rivalsa senza fiato,

di ogni perdizione,

dolore,

intensa resa più o meno identitaria.

In questo angolo di peccato,

ho rilegato le lacrime,

il vomito,

il dolore che la mia gola reclama,

lo stomaco,

mai saturo di inglobare cibo,

mentre i pensieri giacevano con sapienza,

rinnegando le opportunità,

asfaltando il netto reale,

disintossicando quella parte umana di me,

con scelte obbligate,

difficili da comprendere,

testimonianza crocifissa di pietà e ossessione,

tranci sordi di redenzione,

sollevando un altro pezzo sporco di sangue,

il lembo della cavità orale,

la flessibilità ormai corrotta giù nel mio respiro ..

In questo preciso attimo,

ho trascritto l’ultimo suono di campana,

per echeggiare libero da questo frammento,

senza più dovermi nascondere e tacere.

NENIE PER SOPRAVVIVERE

L’imprudenza,

frena sotto i miei occhi,

in questa fragile usura del tempo,

ove solerte,

la voce pudica dell’anima,

riceve ammonimenti spirituali.

Mentre il rilievo avverte il dolore,

l’indolenza ne accerta i suoi cedimenti.

Tutto funge da esperimento bellico,

senza una ragionevole salute,

il velo che sovrappongo,

riscrive una pagina incerta,

un posto spesso migliore,

dietro oboli inopportuni,

togliendo ossigeno al cuore,

spegnendo fuochi ardui ..

VOGLIA DI SCRIVERE

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Non v’è nulla di serio, solo tanti fantasmi, inquieti, intorno a me, dentro me, personaggi che hanno avuto il sopravvento, senza lasciar tacere quel confine poco labile, ho intrappolato ogni momento su carta, con tutti gli errori possibili ed immaginabili, perchè sono essenzialmente solo, e per qualunque tipo di aiuto, posso contare sul mio minuscolo cervello.

UNA STAGIONE

Continuo a scrivere,

cavalcando un emotività spenta,

una bieca onta bulimica,

che mi attrae solo per incidere un pensiero,

mandando giù parole,

lasciando devastare il mio universo,

l’invera sgretolatura opaca,

di umane percezioni tradite ..

Sento ancora il bisogno di stare qui,

mentre il tempo,

fuori,

avvolge la follia di questo nubifragio,

attratto dalla pioggia,

dal sentire epocale di una stagione,

tacciono,

i sensi di colpa,

ma non le parole che mi vibrano addosso,

prima che un altro vezzo mi stordisca,

affievolisca sull’ennesima storia che avverto,

sintomatica e balbuziente,

sta lì in attesa di essere colta,

mentre ne alleggerisco il peso,

rifinendo il sentire di quelle voci,

in attesa che il foglio varchi la follia dell’intimo.

ANIMUS

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Stormi di uccelli,

adornano le Vostre lapidi,

mentre il tempo, solerte,

si è fermato,

a lasciar scorrere i secoli,

discontinue prigioni di una netta civiltà,

sommossa,

sommessa,

stanca di lasciarsi vivere,

errante ai più,

come una discontinua immagine,

il relitto costretto di un emozione,

non vibra mai,

su quest’alito di vento,

che sgombra il vezzo aspro.

Su sentieri compromessi,

la poesia ha contrito gli attimi,

ingoiato quella polvere funesta,

attraversato serratamente l’Io,

per sostare amabile dentro la terra,

senza corruzione,

senza letame,

il cuore,

ora,

corona il bieco stupore affranto,

ascoltando i passi,

gli umori odierni che innestano in superficie,

una ritrovata struttura,

un decorso sensitivo,

un altro eco ammantato di sonnolenza,

e il sole .. si, il sole,

ama tutte le sue creature.

UN PALLIDO FIORE

Corre in fretta,

l’errante abbondanza di un assenza,

mentre la terra assembla corpi,

recide vite,

tedia i superstiti,

prima che quel volto possa decomporsi,

ricomporsi,

nel tardivo bisogno di una foto,

un ricordo,

un sogno …

Prima che le suggestioni,

spazzino via ogni dubbio,

sarà il tempo,

a rendere meschina l’esistenza,

un modo come un altro,

per colmare un vuoto mai deciso,

riempiendo un lasso evolutivo di cera,

su questa maschera invecchiata,

sui modi apparenti di credere,

nell’attesa di un abbandono nefasto,

il gioco,

resta acceso

finchè non si oscura il pallido fiore del conforto.

PIEDI SCALZI

Corrosi,

da indelebile passione,

abbiamo inseguito aquiloni neri,

per suggere un tempo immobile,

arreso alla manovalanza teatrale,

ove l’anima concede aspettative,

in ruoli fondamentalmente sciocchi,

la vanità,

erige premi all’immobile pazienza,

persuasi da lapidi neglicenti,

il seme della speranza,

ha lasciato correre via l’eterno crocevia della pazienza,

dentro sapori a cavallo dello spazio,

provando ancora una volta,

a smuovere rimostranze arrese,

pieghevoli tentacoli sociali,

all’ombra del sole,

a piedi scalzi,

su terra seminata di morte,

senza commettere mai un respiro,

deceduti per orgoglio,

camminiamo sulla terra come esseri superiori,

spazzatura,

a nostra volta,

di un gioco infinitesimale e carnale,

stupidi,

eretti,

giunti alla gloria per un orgasmo,

non abbiamo rimuginato abbastanza,

su quei giacigli vegliardi,

all’ombra dell’incuria,

una mannaia ci attende sempre ..

Solo che mentiamo,

consapevoli di sfuggire ad essa.

E SOLO LETTERATURA

A fatica,

rielaboro le condizioni per portarmi avanti,

malgrado le cadute,

le centinaia di volte,

che mi son trovato muro contro muro,

a sbattere la testa,

dentro la spietatezza urbana di tanti ..

A fatica,

trascino con me il romanzo

quasi compiuto della mia scrittura,

perdendomici al suo interno,

provocandone rischi e alti consumi,

percependo una realtà parallela a ciò,

un accostamento sempre più viscerale,

con i personaggi che dettano le proprie regole,

capovolgendo la funzione normale dei giorni,

la cadenza,

le voluttà.

Il mio piccolo universo, ora,

gira a ritroso su quei sentieri di carta,

che racconto per sfuggire all’Oggi,

innamorandomi di una storia che qui non è presente,

eppure suscita in me,

un elevato stupore che compromette le mie lacrime,

quando, stanco di tutto,

mi accosto a quel grado di miscellanea,

che correla ogni mio movimento,

un sopportabile rifugio da occhi indiscreti,

il mio principio che funge da verbo esistenziale.

Lì,

colgo ancora amore,

passione,

possibili emozioni per una vita che quaggiù,

non incarna il mio vivere ..

nei flash di un romanzo,

nella chiave di un intero processo che istruisce la mia mente.

E solo un racconto, passerà.

Ma qui,

al passato,

volge solo la mia esistenza,

dinnanzi allo stupore della vera storia vigente.

UNO SCONTRO

Non smettono mai di correre,

le parole che avverto nella mia mente,

malate,

deviate,

pacifiche,

talvolta disordinate ..

Danzano come in uno specchio d’acqua,

e arrangiano artificiosamente i miei passi,

le movenze che costellano ogni sentire,

sbagliando,

armando lo spirito di racconti.

Su, via,

dentro strade incoltivate,

tra ruggine e vento,

dolore e spavento.

Su, via,

a rincorrere un ego pregiato,

a limarne i rossori,

la sconcia tendenzialità della penna,

il raffermo animo che intreccia la voluttà del foglio ..

Lasciate che resti ancora qui,

a favoleggiare tra la realtà,

inventando sorde trame,

svendendo il cuore,

inasprendo la scrittura tra le lacrime,

orrori,

fatui incesti taciuti ..

Lasciate libera la mente,

a nessun flaccido poeta,

venga deposta la fatica di ogni essere,

pur di amoreggiare,

su pascoli verdi di malnutrita sessualità,

ove corpi maschili,

inseguono una rettile devolution discriminatoria,

mai accentuata,

da carne che albeggia dentro altra carne ..

FERIRSI CONSAPEVOLMENTE

Abbeverati dall’incoscienza,

seminiamo imparzialità,

voli distinti dalla tetra precarietà,

comprati in scatole di preparato a scadenza,

colmiamo il vuoto alimentare dei nostri corpi agiati,

costretti ad essere ciò che non saremo mai,

una perfetta macchina di salute,

poichè la mente volge sempre all’ingordigia,

e lo spirito,

talvolta,

resta macchiato da quelle tracce generose di sapore,

un inasprire consapevolmente,

ogni bontà sozza,

pur di abbrutirsi da soli,

dentro scantinati dediti al vomito,

in uno spazio estemporaneo,

che affonda radici fragili,

tra falsi dei e pensieri contriti,

non lasciamo mai cadere l’arma del delitto,

il perno che nè mistifica le azioni,

no.

Seguiamo a breve distanza,

l’onda d’urto che si schianterà in fondo allo stomaco,

tra anima e  solvenza,

tutto il resto non ci salverà dalle paure,

ma almeno,

per un pò,

laggiù,

avremo appreso un rifugio malato dai sensi di colpa,

dalla spirale maledetta che il mondo accerchia,

senza mai fermarsi un attimo.

Scendere,

prima o poi,

sarà una scelta obbligata,

per noi reietti bulimici,

ove nessuna buona stella,

accoglierà mai,

il nostro piccolo cuore frantumato.

 

IL MOMENTO

Lenta e distruttiva,

la metà del cuore,

quella che non risana mai una ferita,

un coltello,

un distintivo lasciato ai posteri.

Lenta e trasgressiva,

la visione che fluttua sangue,

senza alcuna chioma colorata,

se non il rosso sparso in sè,

una lacerata malcuranza di cordoglio,

che arretra su condizioni sparse di veleno.

Ho perduto del tempo,

meticolosamente alla ricerca di te,

di tutte quelle ombre,

che hai lasciato chiaramente visibili,

una tangibile veduta,

di eterne cartoline e foto,

un ritratto sempre fermo,

inamovibile,

sulla superficie malata del mio corpo.

Lenta e generalista,

la piazza netta del rimorso,

da tributo avverso,

un piccolo verme straziato.

TURBOLENZE

Sopravvivo agli istinti estinti,

brucio ancora senza parsimonia,

dentro questa brezza caotica,

il ventre si contorce ancora,

alle passioni moleste del cervello,

mentre ogni tentativo di fuga,

e preambolo assente,

in questa fisicità nulla,

ove anniento l’essere e l’esistere,

senza mai comprendere il gioco-preda che domina.

Addentro una prerogativa canzonata,

un profilo basso,

esistenziale,

una corrotta belva malnutrita,

ormai lasciata ai posteri demarcati della società,

al bivio,

costretto ad abbeverarmi in corsi d’acqua fangosi,

il cielo non è più su di me.

La spirale delle nuvole,

ha inghiottito l’ignobile gesto della carne,

il ricordo,

ha lacerato per sempre quello squarcio di dignità.

Oggi, i sogni,

sono la catena che mi trascinano sonnolento,

stordito da tutte quelle ombre,

che dannatamente mi stringono il petto,

il fiato,

la repellente voglia di giustificare ogni pezzo di strada.

Sopravvivo,

ma non accetto consigli.

Accentuo un sorriso,

sbadiglio ai nomi come per i numeri,

equazioni presenti senza più una clausola,

stralci di un presente assente,

poesie che non hanno saputo svegliarmi,

dal torpore maledetto che indosso,

una fiamma nera oscurantista,

un lieve calo,

un apparente abbaglio per il prossimo ..

Qualunque cosa,

pur di suicidarmi quotidianamente,

all’imparzialità umana,

sovrappopolata da giacigli nevrotici,

turbolenze lasciate in gabbia,

pur di non avere responsabilità reali,

spossati pazienti da malnutrire.

Sopravvivo all’alcova putrida,

accerto foglie inconsolabili,

spio l’individuo firmato da coscienza.

Allungo di poco una data,

cerco scartoffie rilasciate,

brucio ancora,

compromettendo parole mai servite ad amare,

soffermo cenni polverosi di pelle,

gestualità assorbita da occhi evanescenti,

pulsando ancora tra vecchie risonanze,

tra un testamento che giunge sornione,

tra la ruggine dei miei pensieri,

in spirito,

tra lacrime contrite,

spezzate e ingoiate per non dimostrarle livide,

candide al colore limpido di un emozione.

UNA LENTA E PERMEA LUCE

Il tempo,

affonda le sue radici in questo caldo,

in un assolata domenica tediosa,

ove spesso ci si perde per non smarrire il filo,

insidindosi marginalmente agli altri,

equivocando in fretta un intensa capacità di sopportazione,

un mare sempre nero e profondo,

dove lo specchio di una coscienza,

non conosce limiti, o sponde amiche.

Il tempo,

sospeso per aria,

assembla i visi stanchi della gente,

un imbarazzante congettura che sposa ogni causa,

scusandoli,

talvolta,

della  marginale fretta di affondare certe radici,

tra paradossi emotivi,

e sostanza che non giunge mai in aiuto.

Un vero rimorso di coscienza,

un attimo sbagliato,

per avvallare ipotesi subliminali,

prima di cedere un verso,

o una parola di troppo.

Un vero trampolino di lancio suicida,

per tutti coloro che hanno smesso di adorare sacre scritture,

bestie,

dannosi video in calore,

velocità ormai assorbite da connessioni e sproloqui carnali.

Il tempo,

lontano dai secoli,

muta pelle,

per inveire spavaldo,

su quel che di insano,

issa la vedette sbandierata di criticità,

una fisica mai frenetica,

un bivio, l’ennesimo,

per lasciar scorrere, in successione,

un margine di tempo ormai defunto,

dinnanzi alla polvere di ciò che non potrà più risorgere.

PICCOLO AMORE DAGLI OCCHI VERDI

Piccolo amore dagli occhi verdi,

passione mai assopita in me.

Cielo di stelle addormentato,

vegli sui miei sogni,

e mi riconduci a te.

Intatta la tua bellezza adolescenziale,

mentre il tuo viso tra le mie mani,

mi fa ancor tremare …

in uno scatto eterno di uno scontro mai taciuto.

Piccolo amore dagli occhi verdi,

tenero bimbo rimasto tale,

in questo triste giorno del mio compleanno,

hai saputo ricondurmi nel tuo mondo,

a tutto ciò per cui abbiamo vissuto,

prima che la vita decidesse per noi.

Piccolo amore dagli occhi verdi,

mio principe mai cresciuto ..

Da questa generosa età,

ti ringrazio per avermi dedicato ancora del tempo,

anche se era solo un sogno,

il mio bellissimo sogno: Tu.

OSTAGGIO PERFETTO

Faccio categorie inosservanti,

leader stranieri sulla mia pelle,

mentre coopero con facile sepoltura,

la mia dignità imbiancata,

con prove amministrate di decoro,

trovo armi colpevoli sulla mia pelle,

senza alcun centimetro di stupore,

ogni proiettole segue la sua traiettoria malata,

senza mai avere un lieto fine sussurrato.

Pago la follia della normalità,

un mondo affermato solo da piccole perle,

anni in cui mi sono attivato per sparire.

Ma qualcosa,

ha inveito fuori controllo,

portando a posizioni rafferme,

un astensione che compromette l’Io.

Un facile strumento controproducente,

un possibile cuore privo di dramma.

PORTATE D’ONORE

Ancora avanzi,

su questo fuoco scaltro di carne indecorosa,

ove dissapori e gusto,

hanno preso il sopravvento,

sull’ineluttabile respiro del momento,

sullo scranno dovuto del carbone,

spegnersi,

lentamente,

su tizzoni ardenti che non sanno più cuocere,

mentre il sangue,

coagula affreschi e congetture,

nel rossore di una insipiente familiarità nociva.

Le fondamenta imbiancate,

ricercano alla morte il tessuto strutturale,

quelle stesse ossa agitate al vento,

in quelle notti di accettazione e oblio,

spietata pagina che asseconda i secoli,

e cancella i volti nell’ardire del tempo.

Una fiammata spicciola per certi voli,

un tendenzioso che fuma la sua pistola,

tra barricate costrette a finti elogi.

L’abbraccio servito,

e solo una gola stanca al deglutire,

mentre non v’è traccia alcuna,

del gusto condiviso per un pasto maldigerito.

UNA TANGIBILE FERITA

C’è un museo,

apparente,

che soggiorna in stanze private,

ove spesso la parole,

sono sermone crescente,

dittatura da non screditare,

dentro immagini ormai opache,

designate sulla pelle opaca dei pellegrini.

C’è un rigagnolo di mausoleo,

in quei sorrisi strappati con forza,

quando la fede sprigiona le sue regole,

ed ogni cosa emana una serie di interrogativi senza risposte,

una svalutazione seria e concreta,

che si percepisce instabile,

in quel sentiero coabitato da troppi ostacoli.

La parola,

mai stanca di obiettare,

snatura versi,

e prostra lacune mai distribuite.

Il vero avanzo di cultura,

snobba le masse,

sregola gli amanti da secche smentite,

mentre altrove,

il vero intelletto sposa una vertigine seria.

C’è dissapore molesto,

respiri affamti di sapienza,

senza mai aver compreso il vero disagio intestinale.

C’è un anima,

assopita dalle convenienze/connivenze,

che osserva spasmodica il sapore di ieri,

senza rimpiangere il sarcastico gusto di una dimenticanza.

Solo fermentazioni assolate,

nella certezza che tutto faccia rientro al più presto.

 

INVERSI

Finalmente libero,

traggo beneficio dalle parole,

da quello che sento,

da ogni cosa che riesco a catturare,

amare ignobilmente,

poichè nulla di buono,

serve a costruire condizioni tali da servire.

Gli uomini,

hanno smesso di somigliare a Dio,

scontrosi per interesse,

hanno saputo indossare algide armature,

alzare il livello di sopportazione,

ed arginare un odio costruito sul potere,

su quotidiane azioni spregevoli.

Anch’io,

in tutto ciò,

sono il frutto moderno di questa guerra,

fedelmente indotto a non tollerare,

ma a spendere irrazionalmente il mio tempo,

su supposizioni mai agevolate.

Contro ogni parola,

il veto reazionario di una pillola,

il becco come sorgente di sfida.

Eccomi, finalmente,

sull’annuncio mai troppo violato di quello che vivo.

LA RESA

Il fatto che tu sia qui,

a leggere quello che scrivo,

non fa di te un santo,

ma uno spettatore consapevole e ringhioso,

di tutto quello che abbiamo vissuto insieme.

Mi sono stancato di rincorrere vecchi aneddoti,

aprire voragini frequenti ormai sepolte in me.

Ma il tuo voyeurismo sfrontato,

dovrebbe farti capire che qualcosa non và,

e non sono solo io il colpevole di tutto questo.

Il vittimismo,

l’ho lasciato ai posteri.

Concretamente non potrei mai tornare indietro.

La solitudine mi appartiene, da sempre.

Smetti di collegare gli eventi,

fatti qualche domanda,

e trova le risposte che da me non hai mai voluto.

Quando anni fa tornasti forzatamente nella mia vita non ti volevo,

poichè non credevo più nell’amicizia,

anche se talvolta,

mi lasciavo travolgere dalla semplicità di certe azioni.

Il piagnisteo lo lascio per il mio intimo,

di scuse, mi sono rotto le balle di farne.

Ognuno,

la sua croce,

se la trascina addosso,

responsabile delle proprie azioni.

Ed e quello che faccio tutti i santi giorni.

Dovresti farlo anche tu,

evitando di trovare spunti che non ti riguardano

personalmente qui. Spunti che non hai voluto cogliere,

nè evidenziare con un chiarimento.

Vincitori, vinti, dissanguati,

tutti hanno avuto un meritato riposo.

Depongo le armi.

Ogni rossore inespresso del viso,

e una facciata di comodo.

Io non ne ho più,

evito di blaterare e di esprimere opinioni.

Non odio, non giustifico,

non mi rammarico, non più.

La rassegnazione diventa colonna portante di una resa inviolata,

e certe parole,

pur danzanti e precise,

assumono il posto d’onore agli invitati assenti.

Non mi interessano risposte postume:

quando si muore,

ognuno si e già assunto le proprie responsabilità,

e i morti non assolvono le azioni fatte in vita.

Quindi, una risposta a tutto ciò che scrivo,

adesso,

sarebbe solo l’evidente tuo occhio posto su questo blog.

Fattene una ragione,

percepisci a favore, l’odore schivo della tua cella,

poichè da quelle mura hai saputo solo scagliare furbe parole

per farle indossare ad altri.

Un altro altare non potrà scalfire il tuo successo.

Silenzio,

Amen.

LITURGIA IMMOBILE

Da tempo,

il mio cervello ha smesso di capacitarsi,

di valutare questo grigiore,

l’andamento mai entusiastico del giorno.

Sottolineo ore alla deriva,

arretro senza mai valutarne i criteri,

accentuo un valore spesso corrotto,

rispondo al richiamo nevralgico dei perchè,

avvalendomi di false condizioni per sopravvivere,

mentre ogni centimetro della mia pelle,

non avverte più il vero Io,

la vacante lacuna in cui giaccio,

forse compiaciuto,

forse troppo arreso,

per sentirne un eco volenteroso.

Il silenzio che combatto,

e il solo filo conduttore che riconosco,

la manovra speciale immateriale.

Nulla serve alla coesione di questa resa.

CIAO SETTEMBRE

Ciao Settembre,

oggi qualcosa comincia a cambiare.

Il caldo eccessivo di questi giorni,

sembra voler andare via,

arrendersi al tuo arrivo,

mentre in me,

tutto è rimasto uguale,

alla parodia imposta dal mondo.

Ciao Settembre,

fa capolino un onda arretrata di bontà,

col suo spettro danzante deciso,

una spettanza fragile,

un arretrato davvero costoso ..

Ciao Settembre,

ma io non ci sto con la testa,

capovolto dalle esternazioni,

dalle precipitazioni interiori,

dalla non facile gestione di queste parole.

BOZZE CLANDESTINE

A pezzi,

dentro (dietro) il mio sentiero,

osteggiato (costeggiato),

da millenaria titubanza,

lasciato ai posteri da troppa fantasia,

senza avere mai avuto il modo di spiegare,

affascinare,

magari provare.

A pezzi,

in questa armatura sconfitta,

vado per le strade,

senza mai imbattermi in un volto amico,

non più temerario,

semmai uno straniero,

dal volto annichilito dai giudizi,

da quelle  facce schifate,

quando mi incontrano.

Solo una bozza della mia condotta,

solo un incompleta osanna,

a questa perdita di modi e circostanze,

solo un metodo per zittire la maldicenza che mi accompagna,

amica qualunque,

di questa frenetica vita che dedico al Mai.

SESSUALMENTE

C’è pornografia indelebile tra i pensieri,

mentre fumo una sigaretta,

e tutto va …

pigramente a stancare le parti basse del mio corpo,

una sorta di amarcord sconcio,

che sbriciola i cocci sapienti di un iniezione,

una dose eccessiva che non preclude

per forza il culmine,

ma sfocia in un attesa disarmante,

mentre sopporto queste pause sonnolente,

tiro a vivacchiare di fantasia,

riassaporando quello che non c’è,

la moltitudina afosa di queste giornate,

l’interloquire spento fra me e me,

un bel razzolare al contrario,

mentre le vedute arbitrarie,

giustificano l’ingorda natura della mia sessualità.

Per un breve attimo sussulto,

poi tutto torna come sempre:

un eterna comunione di rossore primordiale,

mentre altrove,

la vera vita consuma ogni battito,

senza stare qui a pesarne i contenuti.

Ma io no,

io non posso.

Non concedo, nè mi concedo.

Una blindatura bellica che da dura da tempo,

mentre il corpo attenua le cadute,

i cedimenti,

la vera battaglia che si conclude sempre,

con un altro pezzo di me

abbattuto nel solco della strada.

AD OCCHI CHIUSI

Il silenzio,

delle prime ore pomeridiane,

arretra,

mentre il centro città si riveste di cauta bellezza.

Le nuvole,

quà e là,

rendono vivibile quest’attesa,

tutte le volte che rivedo Messina,

ruggente ai fasti di un tempo,

riflessa in tutto quello che ho vissuto,

a braccetto con i tuoi ricordi,

in Via Dei Mille,

il Viale San Martino,

giù fino a Via Garibaldi ..

Manipolando ogni gestazione dei miei passi,

spostandomi tra la Cesare Battisti fino a giungere a P.zza Cairoli.

L’epoca,

mite di questa allerta,

l’ho respirata a fondo,

succulenta e irripetibile,

mi ha parlato ancora di te,

di noi,

di tutta quella gente che ha attraversato queste strade,

confondendo ogni retorica,

e tralasciando i sogni veri,

disillusi e stanchi,

senza mai attrarne una prerogativa infamante.

Ti ho rivista nel caldo afoso e dei negozi chiusi,

soffocata dalla crisi,

calma,

deserta,

affascinante per i miei occhi!

Certo, non scintillante come allora,

ma pur sempre figlia del mio volere.

AL CULMINE

La ragione,

oltre la follia,

equivoca sempre la natura umana,

mentre ci si sforza ad essere diligenti,

amorevoli,

stucchevolmente finti,

dietro il paravento delle proprie facoltà,

l’idioma pervade sempre l’atmosfera,

ridicolizzando l’irrealizzabile,

dentro una materia mai ovvia,

semmai indiscussa,

deplorevole,

affascinante,

riscaldata a proposito per le occasioni allettanti.

La vita,

non smette di riscattarsi,

per dare una ragione a quelle menti scollegate,

un appiglio di gloria,

per raggiungere il limite della sopportazione.

 

 

HA SBAGLIATO

Gli sbagli,

sono una coerenza umana,

mentre altri,

di indole speciale,

sollevano sempre il dito,

per sottolineare dove e come “hai sbagliato”,

senza avere mai il coraggio di dirtelo in faccia,

perchè alle spalle e tutto più semplice,

spietato,

semplifica le cose,

ed evita di dire le cose onestamente.

Gli sbagli,

di natura affascinante,

sono il primo tassello di un arbitrio sofisticato,

giocato sulla propria pelle,

mentre non si smette mai di commetterne di nuovi,

solo per non avere la nostalgia di restare indietro,

con l’amarezza di sentirsi sbaragliati dalla concorrenza.

E mentre,

bocche infami,

si stupiranno del tuo silenzio,

altri tesseranno ignobili diatribe,

solo per non ammettere quegli stessi sbagli

che perpetrano,

sulla pelle di chi non ha voglia di dare amplie spiegazioni,

o di piegarsi alla dittatura delle loro idee ..

UN INTERESSE BIANCO

La fede, giustifica l’assenza,

l’obbrobrio illogico delle persone,

la vera distanza che prende forma,

l’orgoglio che ruba l’attenzione,

il verbo senza una sola lacrima,

una casta Bianca che sposa il suo riverbero,

senza alcun acume di sacralità.

Dio,

a propria immagine e somiglianza,

non sceglie di abbandonarci,

ma evoca questa finta dottrina che dettano gli uomini,

quelli che fingono interesse comunitario,

fratellanza senza barlume di spiritualità.

L’OVVIO CHE ACCELERA

Cercavo uno spazio tutto mio,

per invecchiare certe fantasie,

parafrasare le emozioni,

tollerarne il sapore,

il chiarore,

mentre altrove, la vera vita andava a rotoli ..

Cercavo una dimensione senza spettri,

solo ombre,

individuali voragini senza appello,

una ritmica di basso profilo,

per valutarne il sistema,

le azioni,

la possibile assunzione di nuove congetture.

Cercavo il rispetto,

quella spolveratura mai ampia del cuore,

una vertigine collegata ad una ruga,

un fianco scolpito dai battiti ..

Solo una sommaria voce,

ha concluso,

che spesso, le connotazioni speciali,

sono ad un bivio banale di questi frammenti raccontati.

BATTUTA DI CACCIA

Giacciono,

gli amanti,

persuasi da una dura cervice,

assorti in un assemblaggio stoico,

denudati dal proprio orgoglio,

stretti all’ultima risonanza dell’amore,

assorti da posizioni scorrette,

nel tepore ormai freddo di certe posizioni,

arruolati in una gara oltraggiosa,

placati da un desìo che ha valutato il rimorso.

Un oncia in più,

prevarrà sul rispetto incauto,

mentre il rimorso annuserà le istanze del sonno,

senza una ricerca motivata,

tutto potrà neutralizzare il vertice sfatato.

Catalizzando un emozione,

il cuore pulserà ancora di mera sostanza,

sottranedo viltà,

a quell’istinto che rende bestie,

durante l’onda calda del piacere,

senza mai strappare una sola pagina di ieri,

il lontano dogma della pelle,

e già un buon motivo per abbandonarsi al vizio,

alla corretta istigazione genuflessa a rendere,

un obbiettivo sottratto alla carne.

Abbeverandosi un altro pò,

prima di cadere nella prigione che allontana,

divisi per letti e posizioni,

il riverbero mai glaciale di un addio.

IL CARISMA

C’è un tempo che si arrende a tutto,

una valvola che offende,

sputando in fretta sulle voci del rimpianto,

mentre la felicità abbraccia nuove scuse,

per mordere nettamente l’opposta fazione.

Ci si obbliga a risplendere,

pur senza luce impropria,

mentre tutt’intorno,

arretra un lavoro dannatamente sporco.

La comprensione, poi,

non sposa alcuna causa,

ma il sorpasso taciuto,

e causa di troppa solitudine.

Oggi, il sorpasso generazionale,

e solo una prova reticente,

dietro affanni che ripredono un buon carisma.

L’INSUCCESSO DEL SOLE

C’è del tempo a perdere,

mentre mi allontano dal virtuale,

per poi ritornare,

ai soliti passi beceri del sistema.

Un ben lontano paesaggio,

distingue il peso della lealtà,

dalla sposatezza dei giorni,

che ho vissuto inestinguibili,

procreando un sistema sporco,

vecchio,

incongruente solo con quelle forme sparute di libertà.

La vera forma della vita,

agisce a seconda delle emozioni.

Io, dopo aver messo a fuoco un romanzo,

torno a solcare l’anonimato del momento,

senza mai pentirmi,

di questa selva oscura,

ove ogni apprezzamento,

non estingue mai un successo.

OSSERVANDO LA SPERANZA

Il salterio accumulato dei miei giorni,

senza l’onnipotenza agevolata,

mi lascia contrapporre vecchie regole,

per osare sempre qualcosa che non possiede un regno,

un despota,

qualunque soggetto mobile di questo mondo.

Ci liberiamo da soli,

concessi e connessi,

nella speranza di un volto più sociale,

nell’arringa verticale del cielo,

proponiamo,

amiamo,

rubiamo allo spessore questioni non concesse.

Eccomi, finalmente,

nella mia ora d’aria,

attratto a fatica,

ma ancora imbevuto di fedeltà,

illeggibile ma flessibile,

a questo volto che non fa una piega,

agonizzante per la gente,

immorale per quelle dita,

ma giusto alla mia personale umanità.

UN CALICE NUOVO

Oltre ogni volo umano,

la mente non preclude mai un ritorno,

una misericordia postuma,

un lieto evento per innalzare inni alla volontà.

Faccio del mio meglio,

per allentare questo cappio,

soffocando solo a strati,

nè certifico l’assenza,

mentre il dolore assopisce i muscoli,

resto contrario alla realtà,

alla mediocre effusione per ogni corpo.

Il fraudolento rumore dei gesti,

poi,

serve per annichilire il cervello dal sepolcro.

Eccomi, finalmente,

offerto alla lingua del mondo,

impietosito dalla vocazione strumentale.

Non rettifico le difficoltà,

abbondo versando il peccato,

senza mai ricucire le frenesie del calice.

 

AMORE, AMORE, AMORE

Amore, amore, amore,

ovunque tu sia,

voltati e vattene.

Hai smesso di violare la mia vita,

di indossarne i contenuti,

ogni angolo retto e più segreto ..

Amore, amore, amore,

disperatamente legato a me,

soffochi ogni momento della mia esistenza,

senza lasciarmi un sol istante,

nella mia sperduta landa,

ove inquietudine e orrore,

oggi accomunano il mio quotidiano.

Amore, amore, amore,

il Tuo fascino ha saputo attrarMi a te,

avvinghiato all’assenzio del Tuo sapore,

ne ho gustato fino all’ultimo i sorsi,

spietati e narcisi,

vapori incandescenti per l’anima,

fatto a pezzi il cuore,

stracciato per sempre ogni mia attenzione …!

Amore, amore, amore,

il ricordo che s’impone,

e un rigore avvilente,

mentre sulla stessa polvere,

raccolgo i diamanti del Tuo regredire ..

Ora lascia che io mi abbandoni,

titolare ormai assente di questa dannata congiura.

Amore, amore, amore:

la giovinezza mi sorrise furtivamente,

sogghignando un attimo prima che comprendessi,

che quella lama,

stava scavando a fondo,

nelle mie spalle.

QUALUNQUE

Spesso non riesco a scrivere nulla.

Talmente astratta, la mia vita,

tende solo a spianare la terra,

per seppellire meglio,

quel che resta di me.

Una non facile gestione quotidiana,

un forzato ego che misura la mia tendenza a morire,

indebolito da troppi sforzi,

perdo di vista la normalità,

il quotidiano che avevo imparato a vivere con gioia.

Ma cosa c’è, al di là di questa ruggine, (?)

mentre allento la mia posizione,

non sono capace di esercitare un giusto peso a tutto ..

SPIETATO PER IL MONDO

Oggi mi fa male, vivere,

sorridere,

fingere la solita maschera,

una maniera buona per risollevare gioia,

bontà, uno show che non mi appartiene.

Oggi davvero soffoco, a tutto questo,

all’idiozia vigente,

all’entusiasmo che proclama le solite star,

appartenendo forzatamente,

a un gioco che usura tutto il resto.

Oggi non riesco a sopportarmi,

a decifrarne il declino,

il malessere,

la tendenza che mi include tra i perdenti.

Da sempre, le mie regole,

non seguono una logica,

in questa libertà che vesto di nero,

cerco solo di resistere al mondo,

alla gente,

agli spauracchi che creano per spaventarmi.

Oggi investo la mia armatura di saggezza,

per puntare il dito contro,

e sparare a zero senza vigliaccheria costruita.

Oggi sono qui a condannare e condannarmi,

per non aver dato retta all’inconscio,

alla paura spicciola di troppe parole,

al peso equivoco del chiacchierccio.

Sono qui per morire,

con fiducia,

senza aver teso mani e braccia per nessuno.