NON TORNARE

Ci siamo lasciati andare,

abbiamo tagliato fuori il presente,

spezzato il giogo pesante,

lasciato ancora un albero,

vano tentativo di ricrescita,

nesso ancora stoico,

alla natura fragile,

scorticata dai rumori umani,

cannibalismo ingordo,

toccasana moderno,

immobile transumanza di odori.

Torneremo ai Caffè,

alle risate consapevoli,

mentre a fianco,

il metabolismo affranto,

giostrerà le sue chimere.

PUNTI DI RITORNO

E sempre un equivoco scrivere,

indossare un mestiere,

una situazione,

un vero automa al cuore,

un simbolo senza sbavature,

per essere ancora gigante,

col cuore represso,

lasciato ai margini delle situazioni.

Quindi,

si cerca di scavare spesso,

in circospezione,

tralasciando il senso di vuoto,

la vertigine,

il netto trapasso da una vita all’altra,

da una maschera,

a un isolamento di sangue e carne.

Eccolo il patibolo,

gli spettatori,

il sensazionalismo ebbro,

il motore urbano che riparte,

nella speranza di crepare unicamente,

applicando simboli e detergenti.

Marchio su marchio,

schiena contro schiena,

prove di resistenza senza impatto.

TRAFITTO

L’intuito sedentario di questa blog,

il raggiro assai sovrano,

questa sovra esposizione di interesse.

Un netto taglio,

una cicatrice apparente,

un vero circuito per il motore,

l’intelletto.

Atavico il momento,

lotta assai impari,

eppure in vena.

Dialoghi muti,

per brevi parentesi illetterate.

Disimparo l’impegno,

abrogo la lucidità,

e a secco di coscienza,

trasporto un carico sconcio,

eretto su mura di cartone.

2020

C’è rimorso,

per ogni parola rimuginata,

reazionaria al disagio crescente.

Il traino di Buon Anno,

affossa il rendiconto personale,

ma le ferite,

seppur lacere,

assorbono luce,

infettandosi.

E inevitabile,

turbarsi di poche espressioni,

amere davvero,

una assenza mai rivendicata.

Il lutto per le feste,

renderà assai terrestre,

il passo di cambio.

DI BIANCO IN BIANCO

La cultura del ventre,

questa sozza realtà,

determinata a vincere,

a surclassare ogni encomio,

fatica,

calura.

Resta ben poco di ragionevole,

quando quella tortura si staglia,

lasciano tutto attorno,

profumo e disincanto sessuale.

Ora che sono corso via,

riconosco lacerazioni,

sorprusi,

movenze poco degne di me.

Ma non ero in vendita,

malgrado il gioco fosse pesante,

la mia idra,

simboleggiava potere,

ma è finita per ritrovarsi sperma in bocca.

ORDINI

Ho sognato già,

tutta questa ruggine,

le invettive spicciole,

i movimenti catartici,

il sapore dolciastro del tuo sperma,

la velocità fraintesa di una idea,

l’arrendevolezza semmai tardiva,

di un sentimento assai scontato,

precotto,

lasciato ai posteri di una società innata.

Ho sognato già,

il grande esteriore di un Addio,

la funzione labile,

di un occhio al rallentatore.

Da qui,

il solletico affama i testicoli,

ferma il desiderio,

blocca gli interessi.

Virtuale, sarà stereotipo dislessico.

TUTTO IL BUONO DENTRO

Questa agiata manovalanza,

le mie parole in circolo,

come sangue viziato,

in cerca di virgulti assenteisti,

da questo sterile barlume di ipocrisie,

dettame per il popolo bue,

nichilistiche vicende di puro tedio,

sarcasmo come profilassi medica.

Il concreto,

sfiora la carta come pelle virulenta,

fredda,

veloce,

catrame interessante,

qualche volta in modica rappresaglia.

Il mio ritorno sarà esteso,

mediocre,

un predominio secolare,

lento,

assai apatico,

ai vizi della gente.

Eppure di vitale rilevanza.

Il mondo,

accenna i suoi tentacoli,

mentre io,

ne descrivo le azioni,

i movimenti,

il falso candore,

scandito da sconcerto apocrifo.

Il rilievo e solo da basso,

come martirio ingoiato e reticolato.

Non ho rime,

la mia forma attende sempre un vaglia.

NON IO

Oggi parlo a me stesso,

senza dettagli,

rumori inesatti,

pioggia o vento che sia.

Oggi accenno una riga,

provo a fare il salto,

fingendo utilità interiore,

slancio favorevole ai morti,

in questa sostanziale ereticità.

Oggi risparmio a me stesso,

lo specchio che ho prontamente riposto.

Forse un uomo sbagliato,

con le sue impronte da canaglia,

per ogni vuoto lasciato a metà,

guerriero di cartapesta.

FORSE L’ULTIMA

Talvolta ho davvero bisogno di affetto,

ricercando un candore primordiale,

una esteriore superficie della mia lontana fanciullezza …

Sarà questo Avvento,

il senso estremo di libertà,

il poter dare conforto umano …

Vorrei qualcosa a me simile,

solo un altra chance,

per sentirmi ancora uomo,

coerente verso me stesso e gli altri.

Ancora una volta.

ILLUSI

Gli artisti si riciclano.

io stesso,

dal basso della mia esperienza,

non riesco ad estendere nuovi confini.

Sembra tutto assai confuso,

vissuto,

materialmente statico.

Ci consumiamo per qualcosa d’assai precario,

tentazioni allettanti,

capaci di sorvolare un attimo,

fin a perderne la tentazione finale.

L’oggetto del discutere,

sembra avere smarrito la peculiarità,

la narrazione di veramente valido.

Andando avanti,

virtuale su virtuale,

riusciremo solo a soddisfare paradisi artificiali,

finzioni che che giostrano la mente,

pezzi di letame ormai dedotti,

scaricati e stabili nelle nostre membra.

TRAINO

Come sono incauti certi giorni,

si affacciano con arroganza,

per vomitare in faccia,

quanto prestabilito,

senza alcuna avvertenza,

o vigliacco sensore.

Si determina la statura,

magari il processo,

ma non si riesce a sfatare la scadenza.

Poco per volta,

ogni meccanismo,

allude a tenere frasi di circostanza.

PEREGRINO

Con il tempo,

ho preferito la menzogna,

alimentarmi stabilmente,

essere nuovo pregresso,

generoso arbitro di facciata,

dose perenne di eccidio.

Basta poco per sconnettere usi,

parole,

eccessivi movimenti del caos,

ed io disperdo,

sistematicamente,

un grigio spettro di netto distacco.

IL GIOCO DEGLI UOMINI

Non e così facile illudermi,

trovarmi impreparato ai sentimenti,

a quella fazione di parole,

assai gustose,

generose,

masticato per sentito dire ..

Io abbasso la voce,

fingo interesse,

apprendo il tristo monologo,

ma riconosco la natura,

comprendo sottovoce,

interiormente,

quel sottile strato di placida monnezza.

Credere, non credere,

cercare un abisso meno spiacevole,

un posto meritorio,

ove eludere bonaria accodanza.

Le parole, già,

questa accozzaglia implosiva.

la conosco,

ciononostante la usino maggiormente,

per omologare scopi,

interessi assai personali.

Il personalismo,

nevvero.

Uno sparso catalogo di tolleranza.

Ma io sbadiglio piano,

effettuo la sorte,

tocco i giochi.

Poi torno in gabbia,

da buon animaletto.

NON CORRERE

Inammissibile,

riconoscere il peso dei propri peccati,

turbamenti,

imprecazioni interiori,

valvole mai interrotte,

di una eterna stagione,

come la vita,

come le lacrime,

visione deleteria ma necessaria,

abbraccio sicuro,

affetto incontaminato …

Nuove razze verranno,

altri personaggi si avvicenderanno.

Ma la morale,

non potrà mai cambiare.

Siamo estese pianure,

per secoli, per sempre,

modi e protezione già indossati,

espresse sensazioni di altri uomini,

poi ancora donne,

vecchi …

Uno, due, il tran tran del mondo.

TAVOLE

Il nome,

assai compromesso,

vaga di circostanza in circostanza,

quasi sepolto da scarsa memoria,

simbolo onirico di veemenza,

pietà,

plauso d’amore,

nettare divino.

Lo sento,

qualche volta,

nei meandri della notte,

assolvermi,

talvolta sfiorarmi …

Apro gli occhi al buio,

ma non ravvedo quel sentire,

quel comunicabile albore di speranza,

acume ingegnoso di tristezza.

Resta qui,

disseminato e permanente,

valido motore di ingerenza.

e-DIO

Ogni Dio smette di compiacersi,

quando le farneticazioni,

sovrastano il cielo,

a ridosso di una enclave pusillanime,

decorosa solo per gli atteggiamenti,

nefasta per grandezza inusuale.

Ogni Dio annette catrame di riferimento,

annesso lo stillicidio primordiale,

quella polveriera stantia di esecuzione,

su relitti estesi per condizione,

miglior apporto al disagio,

altre stupide velleità di comodo.

Un denaro sopra l’altro,

una comoda vetrina di saggezza.

E Dio visse per lo sterminio.

INGIUSTIZIE

Mi piace estirpare i sintomi,

non il procurato dolore,

quella tattile movenza di soprassalto,

guitto atroce di dolente realtà,

frammento vivo,

in continua esecuzione,

fertile coscienza di appartenenza,

ai giorni,

al pulsare altalenante di tutte le cose.

Creature deboli,

creature ignobili,

tutti in fila,

come metastasi infinite,

un circolo prezioso,

per dosaggi postumi,

già sentiti,

ascolti paralleli alle celebrità.

A RIDOSSO DA ME

Ogni volta,

coltivo il fiore sbagliato,

noncurante dei sacrifici,

del prezzo alto da pagare,

versare,

in netta concorrenza di molte parole,

moltitudini di sensazioni,

espressioni talvolta catartiche,

sollevate da caratteri prorompenti.

Ma il fiore più bello,

semina odori assai intensi,

per estirparne la ragione,

averne cura,

slancio.

Poi, le spine,

lasciano che si agganci il versamento,

tributo volontario di sangue,

gocce di potere millesimale,

eppure necessario,

per appropriarsi di cotanta bellezza.

FLORA EMOTIVA

Imparagonabile,

vederle sgorgare,

generose,

sul mio viso,

come non succedeva da tempo,

troppo tempo,

forse pure anni!

Il potere di una canzone – Zona Venerdì 

ha saputo sciogliere molte cose,

l’attesa di tanto rancore,

malinconia,

solitudine,

fantasmi su fantasmi,

traumi mai dissolti,

restati come ingombrante attesa,

a seminare il panico,

fuori e dentro di me.

DESTARSI

Ho imparato a pentirmi,

a restare lontano,

da certi apprezzamenti fuorvianti.

Ma ogni volta,

e come la prima volta,

coltellata dopo coltellata,

sembra non basti mai,

questo smembramento umano,

cannibalismo spinto,

succinto e peccaminoso.

Il discapito,

non riceve altre accuse.

FRENO INIBITORIO

Affondo molte erezioni,

durante la giornata,

valvola di una intermittenza istintiva,

disagi fisici che contemplo,

annaspandoli con caparbia machismo,

sempre a un passo dalle stelle,

dalla temprata voglia di affiorare,

dal pallido candore di espianto,

traliccio secolare di negata coscienza.

L’onta sessuale che non ho aggredito,

che ho preferito nascondere,

per non subire il fascino perverso del mondo,

un modo come un altro,

per essere diverso tra i diversi,

distante dalle emozioni altrui.

Una scorciatoia maledetta,

un peso sublime,

eccentrica,

sudata,

arrapata.

QUELLA REGOLA

La maledizione dei sentimenti,

questa sacra estinzione di intenti,

tregua amarti per ogni guida,

malleabile natura assai amorfa,

per le mie estese fragilità,

racconti di seconda mano,

libri aperti e sempre incompiuti,

momenti in cui ho creduto la saggezza,

il filosofare onnisciente,

questa attenta natura ebbra.

Basta poco,

un ossimoro di troppo,

forse la cecità del momento,

ove tutto si spenge,

per imprimere emotività,

spicciola bestemmia ai sensi,

umido tra le gambe,

mutande acerbe al piacere,

timide ma incolte,

calde ma refrattarie …

PRETTY SEX

Vorrei fermarmi un attimo,

tradire il pensiero,

dismettere questi panni da idiota!

Fallire sulla rinascita,

infrangere il peso della coscienza,

negazione stolta di basilare circostanza.

Il telaio ora corrode,

esprime concetti al posto mio,

irride l’anima,

sporge ale figure,

languidi fermenti mai spinti.

FUGACE

Il peso del calcolo,

assiste le funzioni che credo di conoscere.

Mentre la musica spinge,

le parole si affettano,

il credo ornamentale del momento affligge.

La non resa dei conti,

spingere fino ad eccedere,

per quanto basterebbe svoltare l’angolo …

Ancora per poco,

molto poco,

tranne il fumo freddo dello svapo.

RETROSPIE

Quando torno ai sentimenti,

tremo. Detesto apertamente,

ciò che il cuore mi suggerisce,

una impiegata natura pragmatica,

un bisogno essenziale dell’altro.

Riesco a mancarmi,

a deviare percorsi,

ottenebrare anche scaltramente ….

Ma quando porgo l’altra guancia,

lo sguardo effonde persuasione,

potere amorevole,

carezzevole bisogno di protezione.

Quando smetterò di interrogarmi,

avrò sprecato cantilene al vento.

METE CASTE

Vorrei ricordarmi dei sentimenti,

invece di questa anima da puttana,

una qualunque battona di strada,

dedita al denaro,

ad oneri generosi,

orpelli straboccanti di trattative,

malgrado il digiuno carnale.

Riesco a volare alto solo fantasticando,

prigioniero di na crisalide di piacere,

mai realmente esplosa,

un dannato incantesimo,

che mi incatena a me stesso da sempre,

per sempre,

inenarrabile orrore senza fine,

disegno assai artefatto di tutti i miei intervalli.

Eppure resto puttana,

sofisticata maîtresse dell’erotismo,

della pornografia più spinta …

Se solo avessi il coraggio di implodere,

espiare questa assurda castità.

A PICCOLE DOSI

Ho imparato l’espansione,

qualche volta l’apertura,

mentre le cose andavano a pezzi,

e le strade, la gente,

non erano più in grado di comprendere,

amarsi.

Ho provato,

mio malgrado,

ad avere calore umano,

una sorta di buona novella,,

ciononostante gli improperi,

quella sottile specie sottopelle,

idioma perfetto,

di un assemblaggio patetico.

Il rimedio,

necessita scalpore,

ma non per me.

UNA SEGA

La fatica del rimorso,

forse un vacuo rumore di fondo,

una giostra epica di sensazioni,

ricordi strappati a certi rimorsi,

venature proficue di inferno …

In questo deleterio vademecum intenzionale,

le mie vie sono dannate,

praticamente fulgide al desio,

al lontano chiarore di quei fuochi.

Resta un ombra,

incestuosa diavoleria della mente,

un ditirambo voglioso,

frivolo per natura,

saccente per parsimonia …

CATINELLE

Questa avventata dissolutezza,

diatriba invisibile emaciata dal vento,

disastri ambientali assai in sordina,

oncia di colla su gravità ornamentali ….

Questa disastrata narrazione,

livore denso di alibi,

attrito venefico,

sintomo di agiata memoria,

rossore ed ombre,

su passi scelti ad andatura forzata.

Gli uomini si appellano alla legge,

assai scappellati per inerzia,

immotivati di razione,

plasmati su misure indifferenti.

Tutto qua,

il moto ondulatorio di entusiasmo.

Davvero tutto qua,

il fine ultimo di un respiro illetterato.

 

STRETTA DI PELLE

Forse le circostanze,

magari anche l’egoismo,

ma qualcosa e andato storto,

letteralmente addietro ogni dinamica,

l’aspettativa è stata sorprendente,

rapida,

dolorosa.

I segni sono visibili,

chiaramente marcati sulla pelle,

metallo fuso bollente,

olio di ricognizione turbolenta.

La sete e ovvia,

sommata al rispetto negato,

alle parole assai fulminanti,

cattive,

lingue di controcanto piccolo borghese.

Una vita si spegne,

altre dovrebbero rinnovarsi,

ma non sempre si fa la volontà del cielo.

INCANTI

Il cuore non dà ristampe,

rimostranze,

accusa il colpo,

accede a meandri misogini,

traveste luce e ombre,

motivato da folti sentieri.

Regredisce,

accumula torsoli di ieri,

cancella e riscrive ancora,

su quelle pagine,

la stessa medesima storia,

un dettagliato furore di entusiamo,

pur scarnificando il quieto vivere,

l’entropia dissimulata …

PIANO ESOTERICO

Abbiamo cose nuove,

irregolari battiti di coscienza,

forse qualche rigurgito di troppo,

una sincera distopia innaturale,

ineccepibile agli occhi,

eppure capace di amarmi,

armarmi di sepolture degne,

per rinvangare altro sangue,

su deleteri sentieri di tempo,

a margine delle ore,

a repentaglio della vita stessa,

contro ogni ordine,

malgrado il ripiego assodato,

la vita smette di essere tale,

tutte le volte che qualcuno,

si separa mortalmente da noi.

DETESTARSI

Molte cose si guardano bene,

dall’enfatizzare rimorso,

rumore,

forse una oncia meno obliqua.

Il tentativo resta nell’aria,

come parentesi stordita,

su affanni cocainomani,

diete a tappe forzate,

come collane troppo rigide,

per rimuovere corpi inamovibili.

Il rimpianto,

diniego,

quasi suggestivo,

affranto porse lacrime.

 

FOLLA MORTALE

Ci tocchiamo per sbaglio,

ad ogni evenienza,

malgrado lo spessore freddo,

dita insipide sula tastiera,

ad arrancare incertezze,

valvole di sfogo da sacrificare …

Resta sempre cosciente,

l’alternativa di un frangente,

forse il rimorso idolatrato dal sole.

Il delirio,

come ultimo sguardo,

non tradisce mai remissioni.

Spetta alla morte offrire spettacolo,

dare al pubblico convenuto,

l’ultimo respiro.

UN SINGHIOZZO

I miei errori sono così volontari,

protratti ed estesi ad ogni virgola,

quasi un sinonimo ad ogni sbadiglio,

persuasione resistente agli urti,

fuoco capace di espandersi,

equivocare,

magari estendersi,

su fili e maniacali intenzioni di possesso.

L’argine perfetto del tempo,

la sintesi poco tenue,

il rosso retrattile del cuore,

di battito in battito,

soppesare una finta prigione,

venirne fuori senza intenzione,

eredità puerile,

diamante di alterca fortuna.

DIATRIBE

Non ho idea di quanto durerà questa tempesta,

io che me ne resto isolato in casa,

tra mugugni e musica giapponese,

il K-pop esprime l’audio,

io ne afferro la superficie,

alimento lo spirito,

affranco nuovi traguardi,

sempre più di malumore,

con il freddo necessario,

per scorgere fantasmi tra le travi,

relitti di posture già immobili.

L’autunno ulula,

urta qualche mordente,

si accetta così com’è,

a differenza delle consumazioni,

del cibo evaso starnutendo.