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LA RICERCA DI TE

Mani,

cuori segnati da dita flesse.

Mani,

battiti ridotti in poltiglia da quell’articolazione.

Mani,

sangue freddo racchiuso in esse.

Mani,

ultimo cenno per un addio.

Mani,

lasciate vuote e senza carezze.

Mani,

curate in fretta dallo strappo forzato.

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CUORE ED ORE

Flebili tracce, di me.

inerzia immotivata,

logica sconnessa,

falso pudore velato dal tempo.

Ogni cosa,

trascina via con sè questi tremori,

questi inutili scossoni,

la recondita paralisi parziale,

di un sommo istinto mummuficato.

Resto sopraffatto,

aggiunto a modalità ovvie,

trascorso,

in un lasso di ore senza conta.

Sommo la perdizione,

il livore schivo di un appartenenza,

le fughe,

tese solo a protrarre identità meschine.

Non odio,

da troppo, ormai,

credo di avere smesso di averne la tendenza,

una meticosa fotogafia,

un esempio che non può rafforzarsi.

Credo nelle difficoltà,

alle parole mediocri degli uomini,

a infanti troppo possenti,

per ricondurne una docilità di cuore.

In un mondo tendenzioso,

lo scontro,

allinea nuove leve a cuori troppo fragili,

immobili,

incompresi.

In un mondo così virtuale,

quei giovani riescono a farti cadere giù,

dal basso delle tue abitudini,

scaltramente decisi su altro,

costretti a vivere il consumo,

a ricorrere a qualunque trucco,

pur di avere ragione,

pur di dominare un proprio tornaconto avido.

Cadiamo,

restiamo immobili a fissare il Mai ..

Accennando ad una posa plastica,

nei deserti raggiunti,

nel limitrofe atto di mea culpa,

un respiro,

ancora un altro,

pur di non scontrarsi irresponsabili,

sul nuovo sentimentalismo spento.

UNA SCELTA

Ho lasciato,

del tempo futile dentro una stazione,

ripercorso i passi della distrazione,

ammantato il cuore di nuvole,

prima che il levigare dei binari fischiasse.

Ho scaldato un emozione caldissima al petto,

un momento unico,

davvero irripetibile,

per l’intemperanza sedata dei miei anni,

e ho vissuto fino in fondo quel momento,

lasciandomi andare ad un ipotetico abbraccio,

al permeare di una certezza insoluta,

rimasta solida solo nella mente.

Ho atteso il via vai rapido della gente,

sbirciato in quei vagoni non troppo pieni,

per poi attendere che il convoglio ripartisse,

in marcia,

verso una fermata certa,

mentre io mi inabissavo concretamente,

a muso duro,

nell’impatto freddo di quell’istante.

La vita,

assesta colpi mai immaginati,

voce degna per ogni usura contemplata.

Suvvia,

per la mia strada,

senza troppa perdizione.

IL VILE

Un riverbero mai scontato,

per la mente.

Una valvola sempre aperta,

ansimante.

Un bisogno estenuante di Te,

un punto e a capo senza lutto.

Una mano dentro al cuore,

dolorante,

una voragine sempre aperta,

un cielo che non libera alcun pensiero.

Prigione costante,

alcova selvaggia inestinguibile,

delega per ritorni solo sperati,

ebbrezza cauta di emarginazione.

Non si cade in piedi,

non si smette di avere una forma per le espressioni.

Il vile,

fatica a risalire dal fondo.

Il vile spera ancora di dettare umana pietà.

Il vile,

scaccia sè stesso,

per ridere egoisticamente del male guadagnato.

PICCOLO ADOLESCENTE

Piccolo adolescente,

il mio viaggio cominciò questa sera,

in quel 2001,

quando attraversai l’intera Italia,

17 ore di treno,

per giungere sino a te,

al cospetto dei tuoi occhietti verdi,

alla luce della tua terra,

piccola e intensa da vivere,

gioire,

con te.. al Tuo fianco,

quando sceso dal bus,

l’impatto di quell’abbraccio che avevamo sempre descritto

divvenne realtà.

Piccolo adolescente,

quanto tempo ci è scivolato addosso,

dai passi di quel primo amore,

tremore, rossore,

una stupenda anarchia dei nostri corpi,

l’oblio vivido e lucente per ogni gesto,

senza macchia,

ma tantissimi sorrisi,

gioia,

appartenenza ..

Piccolo adolescente,

vaghi ancora in me,

ribelle come un Rimbaud,

nel vento della mia mente …

Odo ancora le tue lacrime,

l’eco della tua voce,

l’affanno della prima volta,

l’ebbrezza che sprigionavi su di me,

ogni ebbrezza sessuale istintiva ..

Piccolo adolescente,

come ci cambia la Vita,

rendendoci ingestibili,

assenti ma presenti,

mai nostalgici,

solo con occhi attenti,

a seguire la distanza di tutte le cose,

di quell’amore che ci affievolì nelle vene,

smaniosi di possederci a vicenda.

Piccolo adolescente,

ora che ho smarrito la via,

mi ricongiungo al tuo pensiero.

Dovunque tu sia,

disperso o espresso per le strade del mondo.

MEDIOEVO

Il mio medievale istinto,

parafrasa ogni sguardo,

attento,

talvolta fragile,

si rallegra di constatazioni ovvie,

senza mai sbagliare la postura,

gli interesi altrui,

i movimenti caduci che fanno rumore.

Il mio medievale apporto,

collega frasi per scongiurarne la fine,

metodica rapita al connesso obbrobrio di una virgola,

solide e robuste cadute,

fraudolente intromissioni mai carnali.

Commediante mai al caso,

sbarazzino per ogni tentativo,

il naufrago,

non sarà mai accolto a bordo.

Di medioevo ad alto medioevo,

solo una succinta previsione.

Se un impero cade,

la decomposizione,

e prossima al cielo.

SOLO BAMBOLE

Bambole intuitive,

amiche intime del virtuale,

dosano un tollerabile filtro a tutto,

nascosti e taciuti,

dietro una tastiera nel mondo,

a digitare concessioni,

facili compromissioni,

scambiando, o vendendo,

illusioni ottiche per facili erezioni,

ed il prezzo,

lievita dal grado inesauribile di smania,

dallo schermo luminoso che funge da paradiso sessuale,

su una manciata visiva di qualche minuto,

il gioco si ripete per tutta la giornata,

senza il visibilìo concreto di una metafora.

Bambole intuitive,

giostrano il garbo del riserbo,

solleticando freneticamente,

su cose materialmente ovvie,

tra spacci e dispacci verbali,

l’arroganza,

cede il posto ad una scrittura facile,

sozza da interessi senza preliminari.

Bambole di ogni ceto sociale,

maschi e femmine tutti in fila,

ragazzini e ragazzine diversamente schiavi,

a render alto,

l’onore nervoso del proprio desìo.

L’APOTEOSI DI UN FRAMMENTO

Crogiolarsi al peso dei ricordi,

ricorrere ad estremi tentativi di persuasione,

quando la mente arranca,

brancolando alla luce del giorno,

tra le facce di troppi sconosciuti,

avvertirne la distanza,

quei volti coniugati ad una buffa situazione,

l’abbondanza di tanta indifferenza,

tra le lacrime che più non nascondo,

nelle vie che ho marcato definitivamente.

Troppa usura scadente,

anche tra le righe della mia prigione,

ove osservo scrupolosamente,

nelle pieghe roboanti della normalità,

salotti buoni assortiti a finta decenza,

una scatola,

un altra sottile rima di tolleranza,

nell’apoteosi di un frammento,

sperduto, in me,

come prezzo naturale di questa pena.

Nessuno sconto alle mie deviazioni,

nè una morbida carezza.

Il calore vietato di una mano,

che un tempo accarezzava il mio cuore.

 

IL PASSATO

E’ plausibile,

ricorrere a Ieri,

quando il Presente diventa rammarico,

quando l’opprimente peso dei giorni,

non regala un sorriso,

un momento di affetto.

E’ consuetudine,

far leva sui ricordi,

su quelle stagioni che hanno infiammato

la tua vita,

quei momenti in cui il cuore batteva forte,

e tutto,

era una meravigliosa scoperta.

E inevitabile,

affidarsi a Ieri,

nel focolaio di quell’amore,

magari stringendo tra le mani delle foto,

riassaporando un percorso ormai finito ..

E’ deleterio,

affidarsi all’affanno della realtà,

senza mai trovare sostegno,

un abbraccio sicuro ove riavvolgere il nastro,

l’occasione giusta per ricominciare,

cancellando per sempre,

l’insolenza specifica del Passato.

A NOI DUE

Vorrei respirati consapevolmente,

affondare la notte nelle tue radici,

possedere quegli attimi fatti di pelle,

sapori carnali,

fino a giungere all’anima,

sfiorarti il cuore fino ad impazzire,

per creare un degno Presente,

alle nostre assenze poco giustificabili.

Vorrei ammantare questa notte di stelle,

tornare indietro ad ogni valido rancore,

darla vinta all’entusiasmo,

baciare la tua passione tra le lenzuola,

svuotare ogni fatua sentenza,

e inebriarti di nettare generoso,

spazzare via la razionalità,

sussurrarti “per sempre”,

varcando una soglia sacra,

per ogni battito che in due potremmo raggiungere ,,,

LA TENTAZIONE

Nulla si riconosce per caso,

in questa imperfezione finita,

l’anima finge di provare vergogna,

solo per non avere responsabilità,

pesi,

misure,

smodate passioni da sedare.

Si coglie l’attimo senza un filo logico,

si incupisce l’unico respiro degno di essere narrato.

Le situazioni,

complicano il diastro menzionato,

per avvalorare una tesi tranquilla,

fingere casi fatti di profondità,

cuciture e sorprese distratte,

che non cambiano il senso di una metafora,

la tolleranza accordata per non ricaderci …

Il legame nevrotico di una ricomposizione sfatta,

tesa a travolgere fatti e circostanze fragili.

Nè capo nè coda,

nessuna premura o duttilità,

ad una musa che muta pelle,

senza mai violare un aspetto carnale.

IL BUIO DELLA FINE

Dal buio,

l’elemento chiave di una schiarita,

una facile insidia,

che punta sempre al cuore,

e non lascia spazio,

o memoria plausibile,

per vendere un altra fetta di sè.

Poco da offrire,

quando i giorni certificano la fine,

il volgere soffice dentro un altra dimensione.

Tutto ridisegna sapienza,

modesta illusione,

spasmi volontari agli occhi,

un oscillazione salubre per l’al di là.

Ma c’è troppa confusione in questo mondo,

in ogni barca in cui ho restaurato fiducia,

le anime,

possono pur traballare,

senza mai gemere di solitudine.

PARTIRE PER LA VITA

Salpare per la Vita,

e sempre un viaggio difficile,

imprevisto,

fatto di incontri e volti,

ma anche di tantissime maschere,

commedie,

spettri che insidiano il cuore,

che intaccano l’anima,

che sanno sussurrare sospetti,

insinuazioni,

momenti turbativi e meticolosi …

Salpare per la Vita,

non è sempre una buona prospettiva,

un impegno da compiere fino in fondo.

Verranno ad ostacolarTi,

a rendere tutto impossibile,

a lasciarTi scorgere fragilità interiori,

sollevando domande,

riflettori scomodi,

paure effervescenti ..

Salpare per la Vita,

e un pò arrendersi al prossimo,

perchè non saprai mai,

se il vento soffierà dalla tua parte,

ed ogni respiro generoso,

forse,

sarà l’ultimo,

prima che le lacrime affoghino un istinto

primordiale di pazienza.

PER CERTI VERSI

Ci siamo perfezionati agli altri,

abbiamo gettato via la speranza,

il vivere completo per ogni cosa,

la compagine buona,

per i gesti raccontati.

Sappiamo discernere l’arbitrio,

glissare le aspettative,

nasconderci …

in quelle caverne troppo fredde per l’inverno.

Abbiamo saputo arrotolare i volti,

solo per gestirne l’elasticità,

contemplarne le espressioni,

girare attorno alle parole,

solo per confezionare un pò di aria fritta,

l’ennesima commedia che affianca gli uomini,

sterilismo,

fortuito caso ad ogni passo.

Siamo merce parassita,

uno scambio che cammina sulla pelle del mondo,

da un lembo all’altro,

sappiamo girare intorno ai problemi,

senza mai gravitare in coscienza,

poichè lo spazio è troppo spesso,

per suddividere i pensieri,

le emozioni,

tornare su quell’affresco docile di una coppia.

Difficilmente comprenderemo un pezzo di stada.

Difficilmente saremo in grado di arrenderci all’anima.

Il corpo,

risale sempre la cima,

per rendere stucchevole un momento di piacere.

Questo è quanto.

DINTORNI VIOLATI

L a carne,

soggiace un interesse primario.

La delizia di uno stupro,

contempla sempre un plebiscitario interesse.

Come bestie in calore,

la mente non arretra il possesso,

la turbolenza che ingrossa l’intimo,

la turbolenza che nevrotica annaspa sulla pelle.

La carne,

irritata,

geme inerte al dolore,

terrificante gioia per ogni spinta goduta,

cercata, planata.

Su rime sozze,

ogni pensiero smentisce quegli attimi,

su articoli corretti,

poi,

la lacrimuccia compiange il perdono.

La carne,

sfata tolleranze oblique,

cannibalismo sedentario per ogni ombra,

parole mai pronunciate,

perchè il dunque e più fattibile del linguaggio,

perchè l’ingranaggio,

e fautore di immonda commedia.

INCHIOSTRO CARNALE

Un impressione,

viene sempre scopata,

sottomessa al volere altrui,

per condurre, poi,

rettamente al dovuto incontro del possesso.

Sono semplici regole umane,

sono esternazioni che costringono un interesse,

a porre l’attenzione verso un rimedio superiore,

un romanzo mai roseo,

nulla di docile,

per questa fragile tendenza.

Teste e corpi vaganti,

sono l’abominio che sorregge l’universo,

un intero giro di carne,

che ammassa certezze fisiche,

passioni sempre spogliate dall’inchiostro,

per rischiarare un intima pressione.

Un attimo prima di comprendere,

la sicurezza di certe correnti,

inoltra uno scudo trincerato di macelleria spicciola.

 

LUNA SILENTE

Luna silente,

ti agiti tra le nuvole,

in cerca di uno spazio libero,

ove mostrare la tua natura,

l’amorevole cura per tutte le creature,

spazi sinuosi di ogni natura,

tra rantoli e vomiti,

tra ricerche smaniose e risate scomode.

Luna silente,

alza la testa,

per sorgere spontanea,

in un cielo che ha smesso di giudicarci,

oltre la pazienza del tempo,

i secoli hanno saputo condannarti,

spiarti,

stuprare ogni parte di te,

invaderti ..

Luna silente,

voce per gli innamorati ideologizzati,

fedeli ad un abbraccio storpiato,

a fantasie troppo spesso ossessive,

a ricordi che rapiscono il cuore,

e non permettono di ricominciare …

Luna silente,

pensaci tu stanotte,

a spargere luce fra le tenebre dell’uomo.

Espandi il senso emotivo di ogni coscienza,

vaga dentro di noi,

per ridestare un bacio,

un momento meno squallido,

un torpore meno pressante.

Luna silente,

rinasci oltre le mura di questa prigione,

per spargere una lotta meno insidiosa,

per me,

per te,

che dall’altra parte dello schermo speri,

tra la maldicenza e i batticuori ..

CUORE A CUORE

Ho smesso di chiedere permesso,

di nascondermi,

di apprezzare il rimorso.

Ho smesso di fingere,

di opporre resistenza al dolore,

alle stupidità,

alle maldicenze della gente,

a tutto ciò che si perde e si frantuma.

Accetto ogni benedetto giorno,

con fatica,

rimorsi,

sensibilità.

Il  mio percorso è una prova estranea,

un continuo perseguire al contrario,

dura tentazione per la mente,

pioggia irrisa d’incoscienza,

una voce contraria a tutto,

sereno precipizio per il tradimento,

concussione delinquente e virale.

Ho smesso di farmi problemi,

di arrampicarmi sul cumulo di maschere,

solo per sviluppare un cuore meno tormentato,

isolato,

e comunque,

una solida certezza di sconcerto.

RETTILI E CARNALI

Per ogni malattia,

ho usato un contraccetivo diverso,

per ogni stimolo andato a vuoto,

ho seminato piacere sul pavimento,

tenendo salda la mano sul bastone,

sviando la stanchezza,

spremendo il più possibile,

stille reattive della carne,

lasciandomi andare,

poi ..

Ho guardato altrove,

nella stanza buia di quell’incantesimo,

dove ci si perde in fretta,

se non si smette di compiangersi.

Annichilire,

in questo mattatoio,

e un sublime verso per una retorica poetica.

Le mie dita solerti,

hanno indicato la salvezza,

ma non qui,

sulle nudità selettive della pelle,

ove i centimetri di un eiaculazione,

violano tassativamente l’arrapamento.

Per i dubbi esercitati,

per la mancanza di fiducia,

l’Io trascina con sè un cielo sempre nero,

sui boxer tirati giù,

mentre le gambe suscitano un ritorno di calore.

Per quelle mani che hanno frugato a fondo,

non ho perdonato,

per la foga violenta,

non ho saputo trarne giovamento.

Ecco perchè,

il dubbio di un erezione,

aizza ed estremizza,

fino al culmine scontato di liberazione.

I VETI DELLA MISERIA

Ho svenduto pensieri,

parlato chiaro,

smarrito ogni briciolo di pazienza,

misurando le parole,

la rabbia,

la costernata visione delle cose,

della gente,

che famelica non smette di gestire la mia vita,

quel pò che concerne la sopportabile sopportazione.

Ho scritto a lungo,

su internet,

riverso nel mio blog,

a cercare i fallimenti,

a trattare con la pazienza,

coltivando ancora nuove lacrime,

addossandomi ogni colpa,

mancanza,

tradimenti.

Non ho mancato di nulla,

su questo viso segnato.

Forse una matita nera,

per coprire le paure,

trincerandomi apertamente,

in beffa alle mode,

alle stelle perfette,

a tutte le condizioni dettate dagli stereotipi.

Ho scaldato le mie erezioni,

evaso pornografia,

sedotto ogni sconceria,

rimembrando un apologia fallimentare.

Davvero,

ho saputo tirar su una coscienza effimera,

schiva,

mai destinata a un lungo cammino.

Ho realizzato sulla mia pelle ogni cicatrice,

instabili ossessioni per inconfessabili omissioni,

e chino,

sulla miseria del corpo,

ho scelto di regredire facilmente,

su sciocche finzioni,

e idee scottanti.

Ho guardato ancora i ricordi,

alla schiera proterva delle accuse,

nel ripetersi di una stagione,

sognando,

eludendo un armatura,

per  compiangermi miserevolmente.

 

IMPROBABILE AMORE

Al tuo cuore,

a tutto ciò che non mi hai dato,

agli abbracci,

che comunque ho accarezzato solo con la mente,

andando oltre con la fantasia,

su possibili convergenze,

su amabili stesure in rima,

senza mai abdicare,

ma motivando questo silenzio.

All’incontro che non abbiamo avuto,

al cielo,

destinato a spiovere,

senza un degno finale ..

Improbabile amore,

fronte sperduto della mia censura.

Scende la notte,

in questa sera vaga di sensori,

ove la mia regia,

spegne ogni evoluzione,

per rinnegare lacrime,

possibili linee nevrotiche ..

Improbabile amore,

sorridi a ciò che contribuisce a morire,

infierisci fieramente.

I miei occhi,

saranno il solo ostacolo a quanto non e accaduto.

IL PIANTO DELL’ANIMA

Non v’è abbastanza spazio,

per tutte quelle maschere che la gente indossa,

a cavallo di tempi moderni,

convinta di poter ingannare secoli e rughe,

l’esposizione continua del proprio dramma.

No, non v’è abbastanza lussuria,

per soggiogare una lacrima,

arrendersi al primo trauma,

ridestarsi dopo una violenza,

riappropriarsi del proprio corpo,

trovar stabilità cosciente.

Non te ne danno il modo,

le possibilità ..

Tutto e ormai estrapolato,

dentro una resa dei conti arbitrata da falsi fratelli.

La vita,

ad appannaggio continuo,

segue una rotta che non insegna,

pur di non svelare mai il viso,

perchè a molti fa comodo,

nascondersi nella giungla delle feste,

della felicità apparente,

delle risate collettive,

dallo spasso ..

Poi,

arriverà in ritardo la fregatura,

la vera mole che annienterà quelle fottute maschere,

e il pianto,

non ristorerà alcuna anima.

L’IO DEL NOSTRO TEMPO

Sollevar l’amore,

renderlo meno annacquato,

trasparente alle bocche degli adolescenti,

mentre si giurano frasi eterne,

rime troppo disgustose,

per non risultare alterate dal tempo,

dall’idioma di preconcetto scurrile.

C’è qualcosa,

o qualcuno,

che ha smesso di vivere la mia pelle,

un abitante scomodo,

un ospite fisso che ha dilaniato il mio cuore,

ogni fetta plausibile di naturale bontà,

inondandomi di caute ferite,

nel rantolo ormai carnivoro delle mie scelte.

Resto sempre ai margini,

sopportabilmente indesiderato,

troppo chiacchierato,

svelto nel linguaggio,

puntuale in dislessiche malattie repellenti.

Ma tornando all’amore,

all’icona nefasta di ogni tempo,

il margine di conoscenza ne risica l’assonanza,

in questo tiepido frastuono,

ove morte e bellezza,

sposano un bottino regale di infausta bruttezza.

IMPALLIDIRE

V’è stato un tempo paziente,

un attesa irresitibile,

la possibilità di tornare a vivere,

di smettere questi vecchi panni,

di mutar pelle ..

V’è stato un istante,

in cui ho avvertito l’aria del fallimento,

il vero rimpianto di una gioia,

la millesimale origine per ogni male.

Ho saputo trascrivere menzogne,

obbligato l’altro ad odiarmi,

tassativamente,

testimone sociale delle mie peculiarità.

Si,

v’è stato uno scorcio di abnegazione in me,

un bagno folle di verginità,

l’adirata manutenzione per ogni sconcerto.

I FOGLI

Un foglio bianco,

una sfida collettiva alla mia debole immaginazione,

agli abbracci che non ho avuto,

ai baci che ho abbandonato,

agli affetti che ho soffocato ..

Un foglio bianco,

indica la mia collocazione definitiva,

il trauma secolare di questo tempo,

la luce resa opaca da quei fantasmi,

petrolio per ogni centimetro di fede.

Un foglio bianco,

ha il candore di plagiare,

di indefinito,

la possibilità di riscriversi ponderatamente,

più saggi,

meno scontati.

Un foglio bianco,

ricorda un filo logico ad un estetica svanita,

il sol rimpianto che non riesco ad accomodare,

mentre ripeto lo stesso tratto di strada,

pur di appartenere ad un asfalto meno decoroso.

LA MIA CONDIZIONE

Riesco sul serio a fare silenzio,

urtare la mia coscienza,

annerire i miei occhi,

con la matita nera,

fino a sparire in mezzo a folle sparute,

nè avvertirne i respiri,

i tradimenti,

le viscerali stime del prossimo,

il reale ammoninento di una dote bruciata.

Mi astengo dal tempo,

allungando un ardua emarginazione,

vado per colori tetri,

origini e scambi eterni,

assaggi che spossano la mia condizione,

il dolore che più non cicatrizza,

nulla che riesca ad alleviare questo senso,

il mal di vivere,

l’emozione più sporca che io abbia posseduto.

La mia condizione,

oblitera un biglietto sbiadito,

per correre in fretta dentro la memoria,

senza più arrossire,

neppure dinnanzi ad una fotografia,

un film,

una voce ..

La mia condizione,

annette la decadenza fisica e mentale,

l’oggetto dimenticato in fondo al cuore,

il prezzo per la libertà,

un assente bagaglio di domani.

La mia condizione,

detta percorsi sporadici,

una screpolatura che più non protegge.

Sanguinando,

ho imparato a suscitare deviazioni,

voli affamati di povertà,

ali rafferme dal mio istinto sedato.

Una croce,

poi un altra,

fino a raggiungere quel sentimento intriso di pioggia.

L’EPOCA TARDIVA DEL SESSO

Ci sono capolavori,

che hanno smesso di ispirare,

poesia racchiusa in troppe indecenze,

alcove sozze di innaturalezza,

un implosione naturale di libertà,

un profumo denso di pube,

che attende di sprigionare il ritorno dei sensi,

senza più ascoltare il cuore,

le pulsioni,

gestiscono il movimento eretico della mente,

il vero io che riscrive il cambiamento,

l’epoca tardiva del sesso,

una somma mai riassunta,

varipinta,

ma un controllo fuori portata di un malessere comune.

RIVENDICAZIONI

Ogni grande cuore,

smette di tollerarsi,

quando certe frequentazioni,

scelgono di infrangersi sul presente,

velleità che non amano più la fiducia,

mentre le buone cause,

creano incongruenti stimoli di sopravvivenza,

affrontando un ordine assai difficile da metabolizzare.

Spesso,

allontanarsi dallo scrivere,

e un modo come un altro,

per sorvolare sulle futilità alla moda,

sugli ego sproporzionati,

che incoraggiano un virtuale accanimento.

Di sdiego,

rallento i passi,

per fungere un autentica fuga in solitario,

sbattendo le ali,

rivendicandone il candore nero

IL POSTO

C’è abitudine,

persuasione,

pensieri virtuali,

social&pornografia,

sogni e dicasteri a portata di mano,

facile lussuria,

libidine protratta a scansi di equivoci,

voci interrotte durante il viaggio,

ormeggi mai oscurati dalla coscienza.

C’è rassicurazione,

accettazione,

violazione,

castelli narcisi e capienti,

portate e discariche aperte,

pattumiere umane di cartone,

su questa terra vomitata da troppi olocausti.

C’è apocalisse,

rassegnazione,

sterminio,

inferno.

Non v’è posto per quel veto di celeste paradiso.

UN VUOTO

Il tempo allunga prerogative rese,

mobili intuizioni,

voci mutilate dall’ultimo abbaglio,

una retorica sedotta dal vento,

dal vociare spento del cielo,

mentre qualche nuvola,

annichilisce il pensiero,

il battito che più non tace,

nonostante il rischio voluto,

nuocersi,

annette una voglia che soffoca il grido,

un cancro micidiale,

rapito da onde mai calde,

un istinto che picchia pillole di saggezza,

dentro te,

in me,

questa soglia di capienza sopportabile,

una gradevole emozione che risica il suo gioco,

un morbido plenilunio di svago,

passando in fretta sul potere,

sulle sconfitte ovvie,

mentre non basta più un equilibrio,

una ragione,

malgrado tante parole,

siano tendenziose,

insidiose,

moleste,

cercando un orizzonte senza più stelle,

vagamente provocato dall’io,

ora,

vorrei un lontano vuoto nero,

per spegnermi,

insignificatamente,

fragore di occhi già inorriditi ..

Per il tempo che verrà,

ovvio,

stantio,

fragile,

condottiero,

un vero stillicidio di percorsi.

L’ECO DEL 28 DICEMBRE 1908

Tace,

la ressa sgomenta del cuore,

quell’ineluttabile voce roboante,

durante il diurno bisogno di quiete,

mentre intorno,

si seppelliscono pensieri silenti,

strisce nefaste di secoli,

orrori vigenti,

spettri comuni,

moderne resse spietate ..

Tacciono,

in simbiosi col nero di ogni veduta,

e più non sommano,

la solitudine regale,

offerta al dono generoso del non esserci.

Un cataclisma interiore,

svuotato da sommo piacere,

mentre in superficie,

lo strazio manigoldo,

eleva picchi insaziabili di libidine.

E qui,

soffre e si offre,

dimenticando il giudizio di Dio,

la maniacale voragine algida,

i tentativi sporchi di trarne un ordigno post bellico,

sulle macerie di un umanità ammutolita.

L’eco del 28 Dicembre 1908,

quell’indelebile fiume di disperazione,

quale straziante alba,

quando tutto si fece tremore e dolore,

nel nascere di questo giorno,

la mia gente non ne conobbe la fine.

Oh macerie,

rovina di un popolo sepolto che grida ..!

Tre giorni di assoluto isolamento,

prima che giungesse l’eco

quasi leggendario della nostra catastrofe.

Oggi tacciono i simboli,

le istituzioni,

la propensa unione che sconiuga,

oggi non v’è più tempo per abbracciare il ricordo,

il fango, la paura ..

La schiera inconsapevole di morte e sconfitta!

DISPERSI

Vorremmo favole buone,

per oggigiorno,

una falsa diatriba onesta,

una fasciatura elastica per ogni sorriso,

un vetriolo meno plastico,

per ogni scomoda evenienza.

Vorremmo arrogarci il diritto di nascere,

vedere il progetto della vita migliorare,

accarezzare sogni senza più sonniferi,

giungere in alto,

e da quella torre,

spiccare un volo onesto e liberatorio ..

Vorremmo,

certe volte,

appartenere alla massa,

alle comunità che fingono rispetto reciproco,

insospettabili,

poi,

e col coltello in mano,

pronti a offrirci tenui pugnalate,

amabilmente,

consci del riso sociale,

lo scherno che tutt’al più soggiace ..

Vorremmo avere la forza di compromettere il Presente,

per sentirci parte del gioco,

ancora disabituati a questa disonestà,

al massacro abitudinario di corpi e corruzione.

Vorremmo davvero spegnere tutto,

per volgere lo sguardo senza più rancore,

ma il più delle volte,

le ore scivolano

affannando una ricerca di sè che non giunge Mai …

IL FREDDO VUOTO DI INTERNET

Non ascoltano la sofferenza,

il dolore che provi.

Il freddo di internet,

invade molti corpi,

e la notte,

sazia ogni paura,

invade la normalità del giorno,

usurpano avidamente ogni gesto,

le minime attenzioni.

Non ascoltano la disattenzione,

il riverbero stonato del cuore,

le insignificanti lacrime che rimpiango,

tutto quel fumo che improvvisamente mi ha inghiottito.

Dov’è la vita,

adesso che la disaffezione non mi aiuta,

a proteggere gli spauracchi dell’anima,

mentre un addio equivale il taglio mai sottile ..

Non ascoltano il colore degli occhi,

il riflesso spento mai pesato,

la sbadatezza accorta per ogni movimento ..

Non ascoltano il respiro,

le parole che vorrei seriamente indossare,

il poeta che vorrei lasciarmi alle spalle,

la solitudine,

perfetta simbiosi di ogni accuratezza ..

Ma mi stai ascoltando?

 

ARIDO

Quando mi arrendo,

precludo uno spazio tutto mio,

una vera stanchezza,

soggetta alla perdizione,

che non arretra in stoltezza,

ma amalgama orrore su orrore,

senza predire una semplice eredità.

Il secolo che ho scorto,

non assomigliava affatto,

a questa sconclusionata pagina di disaffezione,

agli scorci eloquenti,

le sfavillanti città ardite ..

Il secolo che ho lasciato incedere,

ribatteva un epoca fatta di sognatori,

poesia dettata per le strade,

e un senso comune di condivisione ..

Il secolo che ho bruciato,

ha lasciato la mia pelle amorfa,

ardita al mestiere che si sono inventati,

per imbellettare il nostro mestiere,

la facile usura che adesso pretende dalla penna,

un servo inutile,

uno schiavo da predisporre ai margini della società.

Il tempo che ho dedicato all’amore,

ora,

e caduto a pezzi e senza possibilità.

Ho varcato la soglia della sonnolenza,

la veggenza a ritroso di quella perdizione,

il freddo che si è posato su tutte le cose ..

Il secolo che non ho visto,

ha conosciuto affetti migliori di oggi,

sotto la cupidigia spietata degli uomini,

dipesi da accezioni e verbi interrotti ..

I miei occhi,

hanno spento ogni lacrima,

abbeverando un lontano battito,

un infranto romanticismo non più ricambiato.

L’impervia natura del Presente,

ha tagliato fuori ogni interesse,

la gentile e riflessa autonomia di una carezza,

il calore vellutato di un fragore ..

sugli ultimi passi solenni,

l’ennesimo brivido senza pazienza.

MALE QUOTIDIANO

 

10509771_10203007659223595_1458677850754104686_nFarsi male,

e un abitudine irrinunciabile,

un rituale quasi formale,

un atto dovuto,

alle brutture di ogni giorno,

al torpiloquio che l’anima recepisce,

una viscerale smania che rinsavisce,

esportando equilibri e sprazzi di volontà.

Farsi male,

considerevolmente,

applica le cose alla vita che non accetto,

una sparuta ma ingorda fame di incertezze,

mentre il corpo,

svilente,

segue questa dottrina rimessa,

senza carpire l’esigenza del sonno,

la stanchezza,

i segni evidenti di un male piacevole,

che non spazza mai via il malessere,

ma tende a rafforzare la fragilità,

una vigente forma di rispetto verso la mia persona,

lontana anni luce dai clichè umani,

obblighi redatti,

cicatrici che inducono a farlo ancora,

toccar le più alte vette di sconfitta,

per rischiarare un pò di tenebre nervose ..